L'Avvenire: sparito il senso della rinuncia.
«Facciamo come i musulmani»
Venezia la diocesi rilancia con incontri nelle chiese al posto della pausa pranzo
I cattolici e il digiuno dimenticato
«Così la fede si adatta ai tempi»
L'Avvenire: sparito il senso della rinuncia.
«Facciamo come i musulmani»
Pacifisti a San Pietro nel 2003 per la giornata del digiuno indetta da Wojtyla
ROMA — Cosa mangiate domani? Anzi, mangiate oppure no? Il Venerdì santo è giorno di digiuno secondo la dottrina cattolica. Preghiera e carità al posto della pausa pranzo, dice la tradizione, per difendere l'uomo dagli istinti che influenzano la sua volontà e incontrare Dio. Eppure è lo stesso Avvenire a parlare di «virtù dimenticata». Sul quotidiano dei vescovi il professore di storia delle religioni Massimo Salani usa toni preoccupati: «Tra i cattolici è sparito il senso della rinuncia a tavola». E al telefono la preoccupazione è sempre lì: «È inevitabile che la fede si adatti ai tempi. Ma il concetto di digiuno non si è evoluto, è stato semplicemente cancellato». Il tutto mentre in altre religioni sembra resistere meglio.L'anno scorso l'invito a prendere esempio dal Ramadan era arrivato direttamente dalle stanze vaticane. Presentando il messaggio di Benedetto XVI, che per la Pasqua proponeva di tornare al digiuno quaresimale, il cardinale Paul Josef Cordes aveva suggerito di ispirarsi alla «serietà» con la quale i musulmani rinunciano a cibo e acqua (fino al tramonto) nel loro mese santo. Certo, c'è una differenza di fondo. «Per noi — spiega Mario Scialoja, l'ex ambasciatore italiano convertito all'Islam che siede nel comitato della Lega musulmana mondiale — il digiuno del Ramadan è uno dei cinque pilastri su cui si regge la religione. Come le cinque preghiere al giorno o, per chi se lo può permettere, il pellegrinaggio alla Mecca. Non credo che il digiuno del Venerdì santo abbia per i cattolici la stessa forza». Ma non c'è soltanto l'islam. Anche gli ebrei non mangiano nel giorno del Yom Kippur, mentre gli ortodossi sono forse i più severi sulla regola della rinuncia. Difficile sfuggire ad anni di secolarizzazione che si è fatta sentire più in Occidente che altrove.
Ma per i cattolici è davvero una «virtù dimenticata»? A Venezia c'è il «Venerdigiuniamo», iniziativa della diocesi con materiale disponibile su Internet. Nei sei venerdì di Quaresima chi vuole salta la pausa pranzo, si trova in chiesa per pregare, e poi regala ai poveri il costo del pasto saltato. Un'iniziativa di gran successo, dicono in laguna. «Ho deciso di aderire per fare spazio a Dio nelle mie giornate sempre traboccanti di cose e spesso vuote di significato», scrive sulla bacheca web della diocesi Chiara De Pieri, che ha partecipato all'iniziativa. Ma prima della riscoperta anche la Chiesa aveva fatto la sua parte. È stato il Concilio Vaticano II a ridurre a due i giorni di digiuno: Venerdì santo e Mercoledì delle ceneri, prima erano molti di più. Un «grande equivoco», secondo il sociologo Franco Ferrarotti. «Allentando le regole — spiega — la Chiesa credeva di farsi più moderna. E invece ha perso la sua autorità». Forse il discorso non vale soltanto per il digiuno. «È la pratica religiosa in genere — spiega Roberto Cipriani, professore di Sociologia all'Università di Roma tre — a essere in calo. La partecipazione alla messa della domenica, ad esempio, è scesa in Italia dal 31% del 1993 al 25% dei giorni nostri». Ma perché nelle altre religioni questo non succede? «Non ne sarei così sicuro. Tra gli immigrati la partecipazione al Ramadan è alta non solo per motivi religiosi ma anche sociali: così si sentono parte di un gruppo». Eppure il digiuno è molto osservato anche nei Paesi d'origine: «Vero, ma è vero pure che se ne parla tanto. Quando comincia il Ramadan ci sono i titoli dei giornali. Avete mai visto un servizio al tiggì sul digiuno del Venerdì santo? Magari lo fanno in tanti ma non lo sappiamo».
Lorenzo Salvia
01 aprile 2010
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