30 ott 2009

MODA ISLAMICA A ZAGABRIA (CROAZIA) NEL CENTRO ISLAMICO. E QUANDO LA FAREMO IN ITALIA?

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Esselamu  aleikum fratelli e sorelle nell'Islam. Quello che vi faccio vedere è la sfilata delle ragazze Islamice che vogliono promuovere il modo di vestire islamico. Incredibilmente, la sfilata di moda ha suscitato gran interessamento dei mass-media che hanno espresso le critiche molto positive. E una cosa molto interessante da notare è, che quella serata erano presenti circa 200 donne di Pola, Zagabria, Rijeka e Lubiana.  Che nè dite?

27 ott 2009

ricordatevi di srebrenica

"Per non disperdere la memoria di una grande tragedia avvenuta a poca distanza da noi"

Le 'Madri di Srebrenica' ricevute in Municipio dal Sindaco

26-10-2009

“Siamo qui per un momento non convenzionale, ma di grande rilevanza simbolica e sostanziale. Un piccolo gesto, ma intenso, affinchè non si disperda la memoria di una grande tragedia avvenuta a poca distanza dalle nostre case e che rappresenta una ferita inguaribile nella storia dell’umanità.”
Con queste parole il sindaco Tiziano Tagliani ha salutato oggi (26ott09) in Municipio Catic Hajra e Ibrahimovic Advija, rappresentanti dell’associazione “Zene Srebrenice” (Madri di Srebrenica) da anni impegnate ad individuare le cause e i colpevoli del genocidio di diecimila musulmani bosniaci da parte delle truppe serbo-bosniache, avvenuto nella loro città l’11 luglio 1995.
“La memoria storica è un valore troppo importante e che va salvaguardato. Oggi voglio condividere con tutti voi il piacere di onorare queste donne - ha aggiunto il sindaco rivolto ai numerosi presenti in rappresentanza di associazioni locali e Istituzioni - custodi fedeli del ricordo di quei drammatici avvenimenti nei quali hanno perduto tante persone care e ancora più che mai decise nel perseguire verità e giustizia di fronte al mondo intero. A tutte loro e all'associazione che rappresentano vanno la piena solidarietà e l'amicizia dell’Amministrazione e dell’intera comunità ferrarese”.
Catic Hajra e Ibrahimovic Advija hanno poi ricevuto il sindaco Tiziano Tagliani una targa in riconoscimento dell'impegno dell'associazione.
La visita in Municipio della delegazione è stata organizzata in collaborazione con l’associazione di Pieve di Cento “Le case degli Angeli di Daniele”, che il 22 ottobre scorso ha assegnato il premio internazionale “Daniele – Le case degli angeli 2009” proprio alle Madri di Srebrenica in quanto 'testimoni di un genocidio che non si deve dimenticare'.
Al termine dell'incontro in Municipio le due ospiti si sono recate al Cafè de la Paix (piazzetta Corelli 24) per un incontro pubblico sul tema “Le testimonianze di un genocidio”.

LA SCHEDA - Il genocidio operato l’11 luglio 1995 a Srebrenica - città bosniaca protetta dalle Nazioni Unite con la presenza dei caschi blu olandesi - da parte delle milizie serbo bosniache guidate da Ratko Mladic, è fra le peggiori atrocità mai commesse in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale. Nel massacro risultano scomparse diecimila persone musulmane bosniache di Srebrenica, di molte delle quali non sono ancora stati ritrovati i corpi mentre a Tuzla, dove ha sede il centro scientifico, si cerca ancora di attribuire un nome ai resti rinvenuti nelle fosse comuni. Dopo la fine della guerra soltanto 3.500 persone (su 37mila abitanti della città) sono ritornate a Srebrenica attualmente parte della Repubblica Srpska. Il Tribunale internazionale dell’Aja ha condannato per genocidio per i fatti di Srebrenica il comandante dell’esercito serbo bosniaco. Ma, pur riconoscendo la natura di genocidio al massacro perpetrato l’11 luglio 1995 nell’enclave musulmana, non ne ha imputato la responsabilità alla nazione serba, malgrado proprio la Serbia rendesse disponibile un notevole supporto finanziario e militare alle milizie responsabili dei crimini.
L’associazione civica “Zene Srebrenice” (Donne di Srebrenica) è composta dalle vedove, dalle madri, dalle sorelle e dalle figlie degli scomparsi, opera a Tuzla e si occupa di promuovere la ricerca di verità e giustizia sul genocidio. Il giorno 11 di ogni mese, a Tuzla, l’associazione percorre la città fino alla piazza della Fontana, in centro, portando i drappi con i nomi dei propri cari scomparsi, utilizzando il modello di manifestazione inventato a Buenos Aires dalle madres de Plaza de Mayo che, analogamente, chiedono verità e giustizia sui desaparecidos argentini. L’associazione civica “Zene Srebrenice” ha comprato uno stabile per promuovere un progetto che possa permettere almeno a una decina di famiglie di lavorare e sopravvivere.

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Karadzic "ordinò pulizia etnica in Bosnia

Non si presenta al Tpi, giudici vanno avanti

 

 

Radovan Karadzic

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Radovan Karadzic

L'AJA - Radovan Karadzic è responsabile, in quanto "comandante supremo delle forze armate", della pulizia etnica in molte parti della Bosnia, compresa Srebrenica. Lo ha detto il procuratore del Tribunale penale internazionale leggendo i capi d'accusa contro Karadzic.

Per il secondo giorno consecutivo Radovan Karadzic ha disertato l'aula del Tribunale penale internazionale (Tpi), dove si celebra il processo contro di lui. I giudici hanno aperto la seconda udienza registrando la nuova assenza dell'imputato.

I giudici del Tribunale dell'Aja hanno deciso di andare avanti con il processo nonostante l'assenza dell'imputato. "Registriamo con disappunto la nuova assenza di Karadzic ma procediamo lo stesso e daremo la parola all'accusa", ha detto il giudice O-Gon Kwon. "Karadzic ha deciso volontariamente di non presentarsi nemmeno alla seconda udienza e dunque accetterà le conseguenze del suo comportamento", ha detto il giudice. O-Gon Kwon ha spiegato che "il diritto a difendersi da solo non è assoluto e ha se intralcia la giustizia può essere sospeso". Il processo, ha annunciato il giudice, proseguirà dunque come stabilito. Oggi l'accusa leggerà i capi d'imputazione e lunedì prossimo ci sarà l'udienza successiva. "Se Karadzic non si presenterà nemmeno la prossima volta - ha concluso il giudice - si continuerà in sua assenza anche con l'ascolto dei testimoni e si nominerà un avvocato d'ufficio".

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19 ott 2009

Il burqa è un capo di abbigliamento...

 

Autore: Avv. Hermans Joseph IEZZONI   Data: 10 luglio 2008

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Il Consiglio di Stato ha chiarito che il Sindaco, in funzione di Ufficiale di Governo, non può, mediante un atto generale in materia di pubblica sicurezza, quale l’ordinanza interpretativa inserire il burqa, o il generico velo, fra le “maschere” vietate dall’articolo 85 del TULPS poiché costituisce un capo di abbigliamento tradizionale con riflessi religiosi.

Segue il testo della pronuncia:

Consiglio Di Stato Sesta Sezione n. 3076 del 19 Giugno 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto dal Comune di Azzano Decimo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difes Roberto Longo, ed elettivamente domiciliato presso l’Avv. Giovanni Pallottino, in Roma, via Oslavia, n. 14;

contro

Ministero dell’interno e Prefettura di Pordenone, non costituitisi in giudizio;

per l’annullamento

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 15-4-2008 relatore il Consigliere Roberto Chieppa.

Nessuno è comparso per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O    E    D I R I T T O

1. Con l’impugnata sentenza il Tar ha respinto il ricorso proposto dal Comune di Azzano Decimo avverso il decreto del 9 settembre 2004, con cui il Prefetto di Pordenone ha annullato l’ordinanza n. 24/2004 del Sindaco del predetto comune.

Con l’atto annullato dal Prefetto il Sindaco, in qualità di ufficiale del governo, aveva ordinato di adeguarsi alle norme che fanno divieto di comparire mascherati in pubblico, includendo tra i mezzi idonei a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona anche il velo che copre il volto.

Il Tar ha ritenuto che l’annullamento dell’atto rientrasse tra i poteri del Prefetto e fosse giustificato dall’illegittimità di tale ordinanza.

Il Comune di Azzano decimo ha proposto ricorso in appello avverso tale sentenza per i motivi che saranno di seguito esaminati.

Il Ministero dell’interno e la Prefettura di Pordenone non si sono costituiti in giudizio.

All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

2. L’oggetto del presente giudizio è costituito dalla contestazione da parte del Comune appellante dell’esercizio del potere prefettizio di annullamento di una ordinanza emessa dal sindaco nella qualità di ufficiale di governo.

L’ordinanza annullata era stata adottata in materia di pubblica sicurezza dal Sindaco, che aveva precisato che il divieto di comparire mascherati in luogo pubblico, di cui all’art. 85, comma 1, del R.D. n. 773/1931, doveva intendersi derogato “durante il periodo carnascialesco, i festeggiamenti di halloween e le altre occasioni esplicitamente stabilite” e che il divieto di utilizzo di “mezzi atti a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona” va riferito anche al “il velo che copra il volto”.

Con un primo motivo l’appellante contesta la sussistenza del potere di annullamento delle ordinanze sindacali in capo al prefetto, rilevando che non vi è alcuna dipendenza funzionale del sindaco dal prefetto.

Il motivo è infondato.

Si osserva che il Sindaco non ha agito in quanto organo del Comune, ma ha emesso un atto generale in materia di pubblica sicurezza in funzione di Ufficiale di Governo e, quindi, nell’ambito di un rapporto di dipendenza rispetto al Prefetto.

Ai sensi dell’art. 15 della legge n. 121/1981, ove non siano istituiti commissariati di polizia, le attribuzioni di autorità locale di pubblica sicurezza sono esercitate dal sindaco quale ufficiale di Governo.

Tali competenze sono esercitate dal sindaco in modo coordinato e dipendente dalle superiori autorità di pubblica sicurezza.

Tra queste un ruolo fondamentale è svolto dal Prefetto, che, ai sensi dell’art. 13 della stessa legge, è autorità provinciale di pubblica sicurezza, cui è attribuita la responsabilità generale dell’ordine e della sicurezza pubblica nella provincia ed il compito di sovrintendere all’attuazione delle direttive emanate in materia.

Con riferimento alle funzioni esercitate dal sindaco in materia di pubblica sicurezza vi è, quindi, un rapporto di dipendenza dal Prefetto.

In tale rapporto il Prefetto non ha solo il compito di sovrintendere all’attuazione delle direttive, ma conserva rilevanti poteri finalizzati ad incidere in modo diretto sulla gestione della pubblica sicurezza.

Ad esempio, il citato art. 15 prevede che quando eccezionali esigenze di servizio lo richiedono, il prefetto, o il questore su autorizzazione del prefetto, può inviare funzionari della Polizia di Stato, nei comuni dove non sono istituito commissariati di polizia, per assumere temporaneamente la direzione dei servizi di pubblica sicurezza. Resta in tale caso sospesa la competenza dell’autorità locale di pubblica sicurezza.

Il potere del Prefetto si spinge, dunque, fino a sospendere le competenze in materia del sindaco e, più in generale, è diretto ad assicurare unità di indirizzo e coordinamento dei compiti e delle attività degli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza nella provincia, promuovendo le misure occorrenti (art. 13, comma 3).

Spetta al Prefetto promuovere ogni misura idonea a garantire tale unità di indirizzo, svolgendo una fondamentale funzione di garante dell’unità dell’ordinamento in materia.

L’adozione di ogni misura non può che includere anche il potere di annullamento d’ufficio degli atti adottati dal sindaco quale ufficiale di governo, che risultano essere illegittimi o che comunque minano la menzionata unità di indirizzo.

L’ampiezza di tale potere è confermata anche dall’art. 2 del R.D. n. 773/1931, che gli attribuisce, nel caso di urgenza o per grave necessità pubblica, la facoltà di adottare i provvedimenti indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica.

Nel caso di specie, il Prefetto di Pordenone ha fatto uso di tali poteri nell’ambito delle proprie competenze.

3. E’ infondata anche la censura con cui il Comune ha dedotto la violazione dell’art. 7 della legge n. 241/90, in quanto il Prefetto ha richiamato i propri poteri di agire in via d’urgenza e in materia di pubblica sicurezza le esigenze di garantire l’unità di indirizzo presuppongono molto spesso ragioni di urgenza, che non consentono, come nel caso di specie, l’ordinario svolgimento delle garanzie partecipative,

4. Come rilevato dal Tar, inoltre, nessuna illegittimità deriva dal fatto che l’atto prefettizio si sia adeguato al parere ministeriale, in quanto la rilevanza della questione aveva correttamente indotto il Prefetto a richiedere il parere del Ministero, che si era espresso in senso contrario al primo avviso del Prefetto.

Del resto, anche il Prefetto è inserito nelle strutture statali che fanno capo al Ministero dell’interno e può garantire la più volte menzionata unità di indirizzo, se si raccorda sistematicamente con gli organi centrali.

5. Con ulteriore censura il Comune sostiene l’assenza di carattere provvedimentale ed innovativo da parte dell’ordinanza sindacale.

Al riguardo, oltre a rilevare che l’utilizzo dello strumento dell’ordinanza si pone in contrasto con la tesi dell’appellante, va tenuto in considerazione, che, come illustrato meglio in seguito, il Sindaco non si è limitato a richiamare l’attenzione sulla necessità di rispettare la legge, ma ha fornito una (errata) interpretazione della stessa, che ha determinato con carattere innovativo l’estensione dei menzionati divieti all’utilizzo del “velo che copre il volto”.

L’annullata ordinanza ha, quindi, carattere provvedimentale.

6. Tale argomento conduce al punto centrale della controversia, che attiene proprio all’interpretazione delle norme che vietano di comparire mascherati in luogo pubblico.

Nello stesso atto di appello, il Comune non ha celato l’unica e principale finalità del provvedimento adottato dal Sindaco, sottolineando anzi che l’iniziativa aveva un forte rilievo politico e culturale in quanto il velo che copre il volto, oggetto dell’ordinanza, altro non è che il burqa indossato da molte donne musulmane, il cui utilizzo in luogo pubblico il Sindaco ha inteso vietare.

Si rileva, in primo luogo, che del tutto errato è il riferimento al divieto di comparire mascherato in luogo pubblico, di cui all’art. 85 del R.D. n. 773/1931, in quanto è evidente che il burqa non costituisce una maschera, ma un tradizionale capo di abbigliamento di alcune popolazioni, tuttora utilizzato anche con aspetti di pratica religiosa.

Non pertinente è anche il richiamo all’art. 5 della legge n. 152/1975, che vieta l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo.

La ratio della norma, diretta alla tutela dell’ordine pubblico, è quella di evitare che l’utilizzo di caschi o di altri mezzi possa avvenire con la finalità di evitare il riconoscimento.

Tuttavia, un divieto assoluto vi è solo in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino.

Negli altri casi, l’utilizzo di mezzi potenzialmente idonei a rendere difficoltoso il riconoscimento è vietato solo se avviene “senza giustificato motivo”.

Con riferimento al “velo che copre il volto”, o in particolare al burqa, si tratta di un utilizzo che generalmente non è diretto ad evitare il riconoscimento, ma costituisce attuazione di una tradizione di determinate popolazioni e culture.

In questa sede al giudice non spetta dare giudizi di merito sull’utilizzo del velo, né verificare se si tratti di un simbolo culturale, religioso, o di altra natura, né compete estendere la verifica alla spontaneità, o meno, di tale utilizzo.

Ciò che rileva sotto il profilo giuridico è che non si è in presenza di un mezzo finalizzato a impedire senza giustificato motivo il riconoscimento.

Il citato art. 5 consente nel nostro ordinamento che una persona indossi il velo per motivi religiosi o culturali; le esigenze di pubblica sicurezza sono soddisfatte dal divieto di utilizzo in occasione di manifestazioni e dall’obbligo per tali persone di sottoporsi all’identificazione e alla rimozione del velo, ove necessario a tal fine. Resta fermo che tale interpretazione non esclude che in determinati luoghi o da parte di specifici ordinamenti possano essere previste, anche in via amministrativa, regole comportamentali diverse incompatibili con il suddetto utilizzo, purché ovviamente trovino una ragionevole e legittima giustificazione sulla base di specifiche e settoriali esigenze.

Tale ultima questione non costituisce comunque oggetto del presente giudizio, in cui ci si deve limitare e rilevare che il Prefetto ha fatto applicazione dei sopra menzionati principi e, conseguentemente, ha annullato la citata ordinanza sindacale.

7. Sulla base di tali considerazioni è agevole rilevare l’infondatezza delle ulteriori censure proposte dall’appellante, in quanto:

- è chiaro che il sindaco non si è limitato alla cura dell’osservanza delle leggi (art. 1 R.D. n. 773/1931), ma ha adottato una ordinanza dal contenuto interpretativo – innovativo, come sottolineato in precedenza;

- il rilievo del Prefetto circa la mancata comunicazione dell’ordinanza e l’omessa indicazione dell’autorità e il termine entro cui ricorrere ha assunto un rilievo marginale di rilevazione di una ulteriore irregolarità dell’atto del sindaco, che è stato poi annullato per ben altri motivi;

- l’interesse pubblico all’annullamento dell’atto è stato correttamente ricondotto dal Prefetto alla necessità di evitare disorientamento e confusione, nell’ambito del già descritto compito di assicurare l’unità di indirizzo nel campo della pubblica sicurezza;

- l’impugnato provvedimento del Prefetto contiene una sufficiente motivazione dell’atto sia con riguardo al contenuto provvedimentale dell’atto annullato, che con riferimento ai vizi di incompetenza e violazione di legge.

8. In conclusione, l’appello deve essere respinto.

Nulla deve essere disposto per le spese in assenza di costituzione delle amministrazioni statali appellate.

P. Q. M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

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15 ott 2009

la carfagna...

(ASCA) - Roma, 12 ott - L'Italia potrebbe dotarsi presto una legge che vieta l'uso del burqa nelle scuole. Lo ha fatto intendere il Ministro per le Pari opportunita' Mara carfagna che stamane ha partecipato a Roma ad un convegno organizzato da Acmid-Donna Onlus e nel corso del quale sono stati presentati i dati un anno di lavoro del Numero Verde ''Mai piu' sola'' per denunciare le violenze subite dalle donne. La Carfagna si e', quindi, detta ''assolutamente favorevole a una legge che vieti in Italia il burqa e il niqab'', definiti ''simboli di sottomissione della donna e ostacolo a una vera politica di integrazione. Non in quanto simboli religiosi, come, per esempio, il velo, bensi' - ha spiegato il ministro - per le storie che nascondono, storie di donne cui vengono negati diritti fondamentali come l'istruzione o la possibilita' di lavorare, storie di violenza e di sopraffazione''. La Carfagna ha, quindi, annunciato che dell'iniziativa verranno informati i minsitri dell'Interno e della Pubblica Istruzione perche' si giunga a ''vietare burqa e niqab nelle scuole, luogo primario di integrazione ed emancipazione''. Lo stesso ministro ha, poi, voluto rivendicare il lavoro svolto dal governo contro la violenza alle donne mentre per quanto riguarda le straniere ha aggiunto che ''tutti devono sapere che in questo paese le donne godono pari diritti con gli uomini e che non c'e' spazio per una cultura o forme religiose che vogliono confinare le donne in uno stato di inferiorita' e soggezione''.

leggi tutto

La Lega propone la legge anti-burqa

 

pubblicato: mercoledì 07 ottobre 2009 da Missunderstanding in: Società Cultura Psicologia

legge anti burqa
Il 2 ottobre la Lega ha depositato una proposta di legge anti-burqa, che modifica la legge Reale del 1975 in materia di Tutela dell’ordine pubblico e identificabilità delle persone, che prevede il divieto di utilizzare senza un “giustificato motivo” indumenti o oggetti che impediscano il riconoscimento della persona, così come leggiamo sul Corriere della Sera.

La proposta della Lega è di togliere il “giustificato motivo” e inserire tra le cose che non si possono idossare indumenti o oggetti scelti per motivi religiosi, ovvero burqa e veli. Per coloro che hanno proposto la modifica alla legge, la proposta non vuole colpire le donne musulmane, né essere razzista, ma essere uguale per tutti.

Come giustamente fa notare Donatella Ferranti del Pd al Corriere, cosa diremmo delle nostre suore se questa legge entrasse in vigore? Sono forse le suore ree di “affiliazione religiosa”? Se una legge simile entrasse in vigore si protrarrebbe una discriminazione sulla discriminazione, poichè si costringerebbero tutte le donne musulmane che per cultura indossano il burqa in luoghi pubblici, a non uscire più di casa per scelta o per non incappare nella condanna da parte della propria comunità.

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9 ott 2009

DALL'ISLAM AL CATTOLICESIMO E POI RITORNO ALL'ISLAM. NON CI CREDETE FORSE?

Mentre nel mondo musulmano

chi anche solo osa

pensare di convertirsi

dall’islam al cristianesimo incappa

subito nella condanna a morte,

Deborah Callegari Hasanagic si è

convertira dal cattolicesimo all’islam

senz’alcun problema e adesso

ci vende pure la propria autobiografia

in forma di libro.

Così scrisse Marco Respinti su Il Domenicale del sabato 4 Ottobre 2008. La domanda che dobbiamo porci tutti è: Siamo sicuri che il sig.Respinti abbia mentito o detto la verità? Un'altra disinformazione pianificata e pocco studiata. Allora qui in questo post vi riporto la storia di un ragazzo Bosniaco-Musulmano ex-convertito al Cattolicesimo , ritornato all'islam.

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Eravamo in Bosnia , tutta la famiglia ma piccolo Nasrallah era ancora nella pancia della mamma, precisamente nel mese di agosto 2007. quando leggemmo sul giornale Saff (www.saff.ba) il titolo sulla copertina; Come Vernes Hodzic (lo vedete sulla foto) era diventato Fra (frate). Matej (Matteo). La notizia fece un interessamento del oppinone pubblica ma, ma, ma nessun “incappamento immediato nella “ condanna alla morte, nessuna fatwa e via dicendo. Questo giovane ragazzo racconta la sua storia e la sua esperienza che durò quasi due anni. Racconta quanto odio verso l'islam all'interno della Chiesa Cattolica , intende quella di Bosnia perchè lui porta l'esempio di Bosnia, tentativo di deridere i musulmani di Bosnia e via dicendo. Vernes Hodzic, abbandona nell'inverno 2008 francescani o meglio dire Cattolicesimo e ritorna all'Islam. Accetta di parlare per il giornale Saff ed essere intervistato dallo stesso giornalista che intervistò anche me nel mese di dicembre 2008. L'intervista comincia così:

Fra. Mato Topic: Fra. Mijo Dzolan ci porta a Potocari (Srebrenica) perchè laggiù c'è ne sono “buone vedove”

Uno dei ultimi viaggi che ebbe a compiere Vernes era la sua visita a Srebrenica. “Quando siamo andati all'inizio del mese di ottobre a Srebrenica alla comemorazione di 800 anni di francescani in Bosnia, eravamo circa 200 francescani di tutta la Bosnia ed Erzegovina. Dopo la messa siamo andati al centro memoriale di Srebrenica dedicato alle vittime del genocidio di Srebrenica. Durante il viaggio verso Potocari (Srebrenica), guardiano del convento francescano Rama -Scit fra. Mato Topic rideva e derideva le madri di Srebrenica dicendo , nell'autobus mentre stavamo viaggiando, che il nostro provinciale fra. Mijo Dzolan ci porta a Potocari (Srebrenica) perchè laggiù c'è ne sono “le donne buone” o meglio dire “buone vedove”.

Fondo bestiame

Alcuni anni fa, precisamente 2004, come anche molti altri cittadini nella mia città ero in una situazione economica molto difficile. Cercando una soluzione o via d'uscita, arrivo a sapere dai miei amici che a Nova Bila presso Travnik (Bosnia centrale) esiste una organizzazione Cattolica che offre aiuto alle famiglie in difficoltà economice sotto la forma di fondo bestiame. Sono andato a Nova Bila e ho trovato l'organizzazione situata all'interno della Chiesa. Quando mi sono presentato e ho spiegato i motivi perchè mi sono rivolto a loro, ricevo la spiegazione gentile e mi dissero che non solo il fondo bestiame ma anche aiuto finanziario diretto alle famiglie non benestanti. Mi hanno detto che posso ottenere anche di più ma solo ad una condizione. La condizione è, che devo avere “il certificato di battesimo”. Sono stato molto sorpreso e confuso per l'esistenza di tali organizzazioni che dividono la gente i questa maniera. Torno a casa con le mani vuote e con un dilema: cosa fare. Da una parte buoni programmi di aiuto e l'occasione di migliorare la situazione economica per tutta la famigliama c'è sempre la condizione “certificato di battesimo”. Questa condizione, Vernes non l'ha capita come un atto di sincerità ma come una formalità di ottenere tutti gli aiuti promessi dalla organizzazione Cattolica. Ho decciso di fare questo certificato di battesimo ma a condizione che nessuno venga a sapere. Mi sono convinto che sarà solo una formalita di andare da un sacerdote che mi rilascerà certificato. Vado di nuovo a Nova Bila , nella chiesa dove è stata situata l'organizzazione umanitaria che mi promise tuti gli aiuti e dissi a loro che accetto le loro condizioni e che devo fare.

Se come la storia è un'po lunga vi consiglio di andare su questo link http://sunnihanefi.blogger.ba/arhiva/2008/10/27/1864468 e adoperate google translate per tradurre il testo originale. Se non capite qualcosa , mio marito ve lo spiegerà.

6 ott 2009

STEFANIA ATZORI. VE LA RICORDATE PER CASO? PER SAPERNE DI PIU' LEGGETE SOTTO

La Cialtrona di Via Bellerio

LA CIALTRONA DI VIA BELLERIO

La sig.a Stefania Atzori, vecchia conoscenza di questo blog, che non ha gradito la mia recensione al suo "libro", mi ha ringraziato pubblicando un "interessantissimo" e allucinantissimo articolo su La Padania, dove il sottoscritto viene tirato in ballo.

Islam, via internet le condanne a morte

Creato in Italia un gruppo per combattere ogni libertà d’espressione anti-islamica

di Stefania Atzori

"Quando la libertà d’espressione diventa un’eccezione che conferma la regola, significa che una civiltà, anziché evol- versi in direzione delle libertà individuali, retrocede ai periodi più bui della storia. Maometto ha fatto della censura un baluardo della religione islamica. Le ahadith riportano episodi riguardanti omicidi cruenti perpetrati dai musulmani nei confronti di chi si opponeva alla parola di Allah. La censura, quindi l’alienazione delle libertà individuali, era pratica abituale della quale Maometto si serviva per eliminare fisicamente coloro che rifiutavano la sua rivelazione attraverso canti, poesie, racconti. Asma bint Marwan, Kab bin al-Ashraf, Abu Afak, Uqba, sono solo alcuni degli artisti condannati a morte dal predicatore per aver espresso opinioni negative sul credo islamico e sulla sua persona. Oggi abbiamo preso coscienza di questo atteggiamento oscurantista perché un occidentale ha pagato con la propria vita il legittimo esercizio del diritto alla libertà di espressione sancito dalla Dichiarazione Universale Dei Diritti Umani. Non sono bastate le fatawa contro Salman Rushdie e Taslima Nasrin o l’assassinio del traduttore giapponese de I Versetti Satanici e il ferimento di quello italiano per farci aprire gli occhi su questo aspetto nichilista del credo islamico. Basti leggere il commento di Hamza Piccardo, segretario dell’Ucoii, riguardo alla libertà di parola sancita dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo nell’Islam: «Art. 12 - Ogni persona ha il diritto di pensare e di credere, e di esprimere quello che pensa e crede, senza intromissione alcuna da parte di chicchessia, fino a che rimane nel quadro dei limiti generali che la Legge islamica prevede a questo proposito. Nessuno infatti ha il diritto di propagandare la menzogna o di diffondere ciò che potrebbe incoraggiare la turpitudine o offendere la Comunità islamica: “Se gli ipocriti, coloro che hanno un morbo nel cuore e coloro che spargono la sedizione non smettono, ti faremo scendere in guerra contro di loro e rimarranno ben poco nelle tue vicinanze. Maledetti! Ovunque li si troverà saranno presi e messi a morte” (Cor. 33, 60-61).».«Saranno presi e messi a morte» non solo nelle società islamiche ma anche nelle nostre. Magdi Allam, Oriana Fallaci, Ayaan Hirsi Ali e molti altri dissidenti, sono costretti a vivere in clandestinità protetti da una scorta a causa delle loro esternazioni sull’Islam. Più frequentemente vengono utilizzate le nostre stesse leggi per ottenere la censura su tematiche riguardanti la religione islamica, spacciando il diritto di opinione per odio razziale e religioso. Su tale linea di pensiero è stata istituita la Islamic Anti-defamation League (Iadl), il cui scopo è quello di “raccogliere, analizzare e disseminare le informazioni sull’attività di propaganda dell’odio e dell’estremismo, e quindi di monitorare, esporre e combattere i fenomeni, le organizzazioni ed i singoli promotori dell’anti-islamismo in Italia, qualunque sia il mezzo usato per la loro propaganda”, ovviamente secondo i criteri di libertà di espressione contemplati dall’Islam. La stessa “libertà” che condanna a morte coloro che criticano il Credo islamico o Maometto. In questi ultimi mesi, due membri della Iadl hanno condotto una campagna volta a inibire il libero pensiero su internet. Si tratta di un vero e proprio linciaggio psicologico. Millantando conoscenze altolocate con un certo “peso politico e sociale” intimidiscono, accusano, molestano coloro che muovono critiche al Credo islamico o semplicemente riportano notizie pubblicate sui quotidiani; stilano “black list” da inviare alla Iadl affinché la stessa prenda i provvedimenti adeguati: avvertire l’autore degli articoli “razzisti” e “anti-islamici” affinché si ravveda; chiedere al provider di apporre un disclaimer che “certifichi il sito come un sito che diffonde odio razziale dal quale loro stessi si “dissociano” ed infine, “adire la via del Tribunale”. Questi individui non hanno esitato a pubblicare e-mail private, IP e dati personali delle “vittime”, facendosi beffa della legge sulla privacy e della legalità. Il fatto che possano avvalersi di “una schiera di avvocati gratis” o che una di queste persone è una ex-deputato ed ex-poliziotta e l’altro un opinionista egiziano de Il Manifesto, come afferma lo stesso, ha reso il loro atteggiamento tracotante e minaccioso al punto tale da sfociare in esternazioni quali: «Sarà pur servito a qualcosa, sai, fare l’ex-principessa, l’ex-poliziotta, l’ex-deputato e la signora tra virgolette. Sai, tutti questi ex che voi sfottete allegramente, in poche parole, sono contatti, conoscenze, numeri telefonici, peso politico, peso sociale». E ancora: «L’“azione punitiva”, quindi, va portata fino in fondo. Anzi, io sarei dell’opinione di allargarla e fare piazza pulita, visto che ci siamo». Infine: «Perché vi staneremo. Perché l’era del musulmano che subisce zitto-zitto e “zi badrone”, è finita. Don’t mess with the Giants, baby» e «Insomma che cosa è successo, adesso? Che cosa è cambiato? Che abbiamo chiesto un po’ di informazioni sul tuo conto? Non ti vogliamo mica fare del male sai... Vogliamo solo sapere qualcosina su di te, come dire... per curiosità». I siti web e i blog di questi individui contengono materiale che dovrebbe destare preoccupazione o quantomeno un interessamento da parte delle autorità. Non possono credere di poter inibire la libertà di espressione quando loro stessi scrivono o pubblicano articoli sull’utilità dei terroristi suicidi palestinesi o affermano apertamente di aver preparato “inventando di sana pianta, decine, forse più di un centinaio, di richieste d’asilo politico”; si rallegrano della morte di Theo van Ghog e assimilano gli ebrei ai nazisti. Senza contare gli insulti, spesso volgari, rivolti a politici, giornalisti, magistrati e semplici cittadini. Tale comportamento assume connotati ancora più gravi dal momento che le intimidazioni e le offese provengono anche da una ex-europarlamentare. Sarebbe interessante sapere da chi viene finanziata questa associazione in grado di pagare una “schiera di avvocati”, a chi fa riferimento ma sopratutto in base a quale diritto questi suoi membri decidono cosa può essere detto o scritto sul credo islamico, minacciare denunce ad oltranza o accusare con tanta superficialità chi tratta di tali argomenti di “istigare al genocidio, all’odio razziale e religioso”. Tali insinuazioni non solo sono ingiuriose ma, come la vicenda di Theo van Gogh insegna, anche fatali. Sarebbe oltremodo opportuno che le istituzioni prendessero coscienza di tale pericolosa realtà sommersa e adottassero seri provvedimenti per arginare questo fenomeno intimidatorio. Non tutti possono permettersi la scorta, vantare conoscenze altolocate o beneficiare di “schiere di avvocati” al fin di esercitare un diritto sacrosanto sancito dalla nostra Costituzione. Le accuse di istigazione al genocidio, odio razziale e religioso devono essere supportate da prove concrete perché fino a prova contraria la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’ Uomo nell’Islam, nella quale il diritto di opinione è regolato dai “limiti generali che la Legge islamica prevede”, nel nostro Paese non ha alcuna legittimità. Stefania Atzori.

Risposta:

A me sembra che anche in altre occasioni abbia già spiegato alla cialtrona in questione che attribuire alla IADL linee "shariitiche", riferimenti coranici e - cosa più grave - condanne a morte fosse un gioco sporco e azzardato, visto che in tutte le dichiarazioni della IADL è specificato che la suddetta organizzazione si rifà alle leggi e alla costituzione italiana, che è un'associazione laica aperta anche alla difesa dei diritti di altre minoranze, anche se in questo momento quella più nel mirino risulta essere - come disse lo stesso Amos Luzzato - quella musulmana. E invece ora ci ritroviamo lo stesso con un titolo che afferma: "Islam, via internet le condanne a morte" e "ovviamente secondo i criteri di libertà di espressione contemplati dall’Islam". Il titolo è già di per sé passibile di denuncia per istigazione al razzismo: pregasi specificare in che cosa consiste questa generica "propaganda anti-islamica" che il quotidiano della Lega sta difendendo. Semmai la propaganda anti fondamentalismo islamico, ma lì non risulta essere scritto questo. Ovviamente, la sfortuna della sig.a Atzori consiste nel fatto che tutto ciò che riguarda questa questione, dall'inizio fino alla fine, è disponibile - giorno per giorno - sulle pagine di questo blog e che da questo materiale si evince quanto sia una "giornalista" cialtrona, passibile - lo ripeto - di denuncia, visto che non può riprodurre neanche una mezza parola che sostenga un titolo simile a quello dato al suo articolo, tanto per incominciare. Alcune delle frasi qui sopra riportate tra virgolette, sono mie e sono disponibili su questo blog. Ovviamente sono decontestualizzate: non si dice, per esempio, che sono state proferite nell'ambito di una civilissima campagna di protesta contro un individuo che apostrofava, nel peggiore dei modi, una persona per il colore della sua pelle dai computer di un'azienda pubblica, di fatto aizzando altri a minacciare l'incolumità dei suoi figli. Me ne frego se la persona è Dacia Valent, che scrive come scrive o parla come parla: in quel momento era vittima di uno schifoso razzismo. E rinconfermo quanto sopra affermato: queste persone vanno stanate tutte, strappate dall'anonimato che permette loro di agire indisturbati, e consegnate alla giustizia italiana per ricevere la punizione che si meritano. Riconfermo che gli immigrati non pressati dalla necessità di garantire la propria sopravvivenza hanno il dovere morale di difendere chi non può permettersi di rispondere a chi li dipinge ogni giorno sui media come terroristi, assassini, belve assetate di sangue e incapaci di integrarsi. Riconfermo che è finita l'epoca del musulmano che subisce supino le peggiori offese e criminializzazioni, e che appena apre bocca e protesta dichiarando che si rifarà all'unica cosa a cui può ricorrere - e cioè la legge di questo paese che punisce i reati di incitazione all'odio e alla discriminazione - viene additato da una cialtrona, nonostante il lavoro di integrazione portato avanti finora, come un terrorista che minaccia di fatwe e di morte "chi non la pensa come lui". Sono orgoglioso di non pensarla come la pensano questi signori che la cialtrona sta ora difendendo: sono orgoglioso di non chiedere che la moglie dell'altro Cialtrone di Carmagnola venga presa a calci in pancia mentre è incinta, solo perché moglie di un cialtrone di religione islamica. Sono orgoglioso di non chiamare "negretta repressa dal colore della merda che fa le pompe ad un musulmano puzzolente" una donna solo per via del colore della pelle. Si, sono orgoglioso di non pensarla come loro e di essere membro, seppur onorario, di un' associazione che si adopera per metterli davanti alla responsabilità legale delle proprie azioni: il disclaimer che ora campeggia sulla homepage di ThankyouOriana.it è la prova comprovante dell'utilità e della correttezza del suo operato. La cialtrona di Via Bellerio può continuare a scrivere i suoi articoli: prima o poi verrà messa davanti alla responsabilità dei suoi scritti, e dovrà dimostrare che quanto sopra riportato era una fatwa o non so quale altra diavoleria che giustifichi il procurato allarme che ha messo in atto dalle pagine del quotidiano delle bufale. Dovrà tirare fuori - dal mio blog personale - le pagine dove ci sono "insulti spesso volgari a politici e magistrati" o l'articolo dove mi attribuisce "l'utilità dei kamikaze". Dovrà dimostrare che la IADL in qualche suo comunicato o lettera ha parlato di legge coranica, di condanne a morte e via dicendo. Perché se non riuscirà a dimostrarlo, mi sa che lei e il suo quotidiano dovranno sborsare un bel risarcimento. Fino a prova contraria, infatti, è lei che mi diffama - anche se non mi menziona con nome e cognome ma permettendo perfettamente la mia identificazione - con accuse gravissime dalle pagine di un giornale, e non il contrario. Riderà bene chi riderà per ultimo.

http://salamelik.blogspot.com/2005/09/la-cialtrona-di-via-bellerio.html

3 ott 2009

NUOVA MOSCHEA A RIJEKA (FIUME) IN CROAZIA.

RIJEKA – Na riječkom Zametu danas će u 11 sati početi svečanost polaganja kamena temeljca za Islamski centar, u sklopu kojega će riječka Islamska zajednica u sljedeće dvije godine izgraditi svoju dugo željenu džamiju te tim kapitalnim objektom dobiti prostor kojim će muslimani riječkog područja moći zadovoljiti svoje vjerske i druge potrebe.

Koliko je riječ o povijesnom događaju za muslimane u Hrvatskoj, pogotovo Rijeci i Primorsko-goranskoj županiji, svjedoči činjenica da će svečanosti nazočiti predsjednik Republike Stjepan Mesić, moguće i premijerka Jadranka Kosor, brojni predstavnici diplomatskog zbora u Hrvatskoj, kao i niz drugih uglednika iz političkog i vjerskog života, ne samo naše zemlje i ne samo Europe. Temeljni kamen položit će ministar vakufa (zadužbine) Katara Nj. B. G. Aimad Abdulla S. G. Al-Marri, ministar jedne od zemalja iz kojih Islamska zajednica očekuje financijsku pomoć za izgradnju svog centra i bogomolje.

Islamski će centar biti građen prema idejnom rješenju pokojnog akademskog kipara Dušana Džamonje na terenu veličine 10.800 kvadratnih metara, što ga je Islamska zajednica od Grada Rijeke kupila na atraktivnoj lokaciji uz riječku zaobilaznicu. Kao troetažna građevina koja će se bruto površinom protezati na 5.291 kvadratnom metru, Islamski će centar stajati od osam do deset milijuna eura.

Današnja svečanost počet će citatom iz Kurana i pozdravnim govorima predsjednika riječke Islamske zajednice Muje Isića, riječkog gradonačelnika Vojka Obersnela, župana Zlatka Komadine, riječkog nadbiskupa msgr. dr. Ivana Devčića, savjetnika za kulturu predsjednika Islamske Republike Iran Mehdija Mustafvi, katarskog ministra Al-Marrija, ministra kulture Bože Biškupića, predsjednika Mesića i moguće premijerke Kosor. Tijekom vjerskog čina polaganja kamena temeljca govorit će muftija Ševko ef. Omerbašić, predsjednik Mešihata IZ u Hrvatskoj, dr. Mustafa ef. Cerić, reisu-l-ulema Rijaseta IZ-a BiH, a molitvu za kamen temeljac vodit će glavni riječki imam Hajrudin ef. Mujkanović.

Budući Islamski centar u Rijeci bit će, uz zagrebački, drugi islamski centar u Hrvatskoj, a džamija će – uz zagrebačku i džamiju u Gunji – biti treća džamija izgrađena u našoj zemlji. Gravitirat će joj oko 10 tisuća primorsko-goranskih muslimana, najviše ipak oko 5,5 tisuća islamskih vjernika koji žive u Rijeci i okolici. Sada su Rijeci najbliže džamije ona u Zagrebu te džamija u Rimu i Beču.

http://www.novilist.hr/Vijesti/dovrsetak-dzamije-u-rijeci-do-kr.aspx

Mirjana GRCE

Srbin prelazi na Islam (Serbian converts to Islam)

Serbo che si converte all'Islam. Se non avete capito qualcosa chiedete.

QUESTO VIDEO è dedicato ad una persona che era musulmana e poi è tornata cristiana. Chi sa se si era convertita con cuore all'Islam......

2 ott 2009

alcuni detti del profeta sulle donne...

Il Profeta Muhammad ha detto:

“L’uomo è pastore sulla gente della propria casa e la donna è pastore della casa del marito e dei suoi figli; ognuno di voi è pastore e ad ognuno di voi sarà chiesto del suo gregge”.

La donna ha l’importantissimo ruolo di “pastore della casa”, un ruolo insostituibile.
Le donne musulmane inviarono una delega presso il Profeta ed essa disse:

“O Inviato di Allah (pace e benedizione su di te), noi donne siamo escluse dal jihad per la causa di Allah e dalla possibilità di acquisirne il grande merito e questo non è giusto!”.


L’Inviato di Allah si congratulò per l’intelligenza della domanda e rispose:

“Torna pure dalle tue compagne e dì loro che se una donna custodisce una casa e la famiglia mentre il marito partecipa al jihad, avrà diritto allo stesso premio che egli si sarà meritato”.


Le donne possono non andare a pregare in moschea il venerdì, non hanno gli stessi obblighi dell’uomo.



Alla faccia di chi dice che sono gli uomini ad essere privilegiati!