31 mar 2009

POVERO ALLAM

Il povero Allam è la risposta di un suo connazionale alle solite farneticazioni di MAGDI ALLAM. Tutto sarà preso nei prossimi giorni da blog http://salamelik.blogspot.com


La risposta del sottoscritto alle seguenti esternazioni di Magdi Allam, Vice direttore onorario del Corriere della Sera, pubblicate sul suo romanzo "Io amo L'italia. Ma gli italiani la amano?" (Ed. Mondadori), si può leggere qui. La risposta del mio quotidiano, Il Manifesto, pubblicata in prima pagina poco dopo la pubblicazione del libro, si può leggere invece qui.


"Vivere con la morte. Assediato dai nemici che mi vogliono uccidere e dagli «amici» che attendono che venga ucciso. Tutto è già pronto. La condanna a morte è stata decretata ai più alti vertici dell'organizzazione terroristica palesti­nese Hamas. È stata ispirata, raccolta, legittimata sul pia­no coranico e rilanciata dai loro agenti locali affiliati all'Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia). È stata montata una campagna intimidatoria e de­nigratoria nei miei confronti promossa dai dirigenti dell'Ucoii e dalla ladl (Islamic anti-defamation league), una sorta di tribunale dell'inquisizione islamica che opera co­me braccio legale dell'Ucoii. Sono riusciti ad assoldare nel loro plotone di esecuzio­ne estremisti di sinistra e di destra, impegnati in prima fi­la nello spargere veleni sulla mia credibilità e onorabilità. E la cappa di disinformazione è diventata a tal punto de­leteria che piccoli e grandi giornali nazionali non si fanno scrupolo a pubblicare in modo acritico e senza diritto di replica una marea di ingiurie e di menzogne proferite dai miei nemici". [P.131]


"La feroce battaglia di screditamento sferrata contro di me dall'Ucoii e dalla sua quinta colonna è incentrata sulla negazione della mia realtà di persona minacciata di mor­te. Il loro obiettivo è di farmi passare per un millantatore. Peggio ancora: un essere spregevole che si arricchisce e diventa famoso millantando il fatto di essere minacciato di morte. E hanno coniato un termine per definire ciò che causa tale condotta: la «fatwite». La fatwa è un responso giuridico islamico che, nell'accezione più in voga in Occi­dente, è assimilata a una sentenza di condanna a morte. Per cui la «fatwite», così come spiega Sherif Al Sebaie, esponente della ladl, è «quella malattia che fa sì che uno sogni di essere colpito da una fatwa che moltiplichi il pane e i pesci dei propri proventi editoriali». Una definizione data nel suo blog, il 4 settembre 2005, in seno a un messaggio dal titolo «Aldo Torchiaro e la ladl»" [P.133]


"Grazie a me, o per colpa mia, il grande pubblico italiano ha conosciuto il volto e la storia di un giovane religioso islamico di Colle di Val d'Elsa, Feras Jabareen, palestinese con cittadi­nanza israeliana. Svolge la funzione di imam di un piccolo centro di culto islamico, una struttura più che adeguata al nu­mero dei fedeli praticanti della cittadina toscana in provincia di Siena. Mi aveva colpito il suo coraggio intellettuale, mi ave­vano convinto la sincerità e la forza con cui denunciava il ter­rorismo e assumeva iniziative per il dialogo con i cristiani e gli ebrei. Così, nel settembre 2004, ho portato il suo nome alla ribalta sulla prima pagina del «Corriere della Sera». [...] L'imbroglio di Feras si svelò in un'intervista concessa al «manifesto» il 20 ottobre 2005, dopo un mio editoriale ap­parso sul «Corriere della Sera» il 29 settembre dal titolo Moschea-mania. Serve uno stop. Che si concludeva così: «Prima dobbiamo riscattare alla piena legalità le moschee già esistenti, poi avere la certezza che le nuove moschee non vadano a finire nelle mani dei predicatori d'odio. Sol­tanto così potremo sperare che le moschee diventino delle case di vetro che, nella condivisione dei valori e dell'iden­tità italiana, ispirino fiducia a tutti, italiani e musulmani».Evidentemente avevo oltrepassato una linea rossa che neppure il Feras dissimulatore poteva tollerare. Nell'in­tervista al «manifesto», realizzata guarda caso da Sherif El Sebaie, che sul giornale ostenta la sua appartenenza alla ladl, il tribunale inquisitorio dell'Ucoii, Feras dice..." [P.184-187]


"Hanno creato una sorta di quartier generale che pianifica, coordina e finanzia la guerra a Magdi Allam. E, dopo che Pisanu ha sdoganato l'Ucoii, sono più audaci che mai" [P.140]

Magdi Allam, Io amo l'Italia. Ma gli Italiani la amano?, Ed. Mondadori, 310 pagine.


fonte http://salamelik.blogspot.com

30 mar 2009

Poslanikova (salalahu aleihi ve-s-sellem) smrt

ZBOG VELIKOG BROJA MUSLIMANA IZ BOSNE KOJI ME PODRZAVAJU (JAKO SAM ZAHVALNA) ODLUCILA SAM PISATI I NA BOSANSKI.


Allahov poslanik, salalahu aleihi ve-s-sellem, se penje na minber i obraca se prisutnim: "Zaista je Allah prepustio robu da izabere izmedju dunjaluka iono sto je kod Njega..." (Bukhari, 366.) Pa je Poslanik, salalahu aleihi ve s-sellem, izabrao ono sto je kod Allaha. Zaplakao je Ebu Bekr znajuci da je spomenuti "rob" u hadisu Allahov Poslanik, sallallahu aleihi ve-s-selem, koji je odabrao Allaha i ono sto je kod Njega. Takodje Fatima, njegova kcerka, nek je Allah sa njom zadovoljan, place kad je Poslanik, sallallahu aleihi ve-s-sellem, obavijestava o svojoj smrti.(Bukhari, 3624; Muslim, 2450-99.) Nakon Poslanikove, sallallahu aleihi ve-s-selem smrti dolazi Ebu Bekr i ulazi kod njegovog tijela, otkriva mu lice, ljubi ga i place, govoreci: "Iskupio bih te svojim ocem i majkom, Allah ti nece sastaviti izmedju dvije smrti, umro si smrcu koja ti je propisana" (Bukhari, 1241-1242.) e pa dragi brate i sestro u vjeri, da li ti suza potekne kad se sjetis smrti najboljeg i njodabranijeg stvorenja? Da li je njegova pomen kod tebe stvar koja ne zasluzuje barem JEDNU SUZU?

29 mar 2009

Olanda, musulmane fondano una 'brigata' per difendere il velo sul posto di lavoro

Olanda, musulmane fondano una 'brigata' per difendere il velo sul posto di lavoro

''Siamo contro l'oppressione della donna'' ma ''molte di noi portano il velo per esprimere la propria fede e la propria identità musulmana, per libera scelta e non perché ce lo chiedano i nostri padri o mariti''



ultimo aggiornamento: 29 marzo, ore 09:39
Bruxelles, 29 mar. (Adnkronos/Aki) - Difendere il diritto di portare il velo islamico sul posto di lavoro, lottando contro quello che considerano una discriminazione verso le musulmane. E' l'obiettivo della 'Brigata delle musulmane olandesi per il velo', un'organizzazione (del tutto pacifica, nonostante il nome all'apparenza minaccioso) lanciata da tre donne olandesi di origine marocchina.

"Non vogliamo minacciare i datori di lavoro- spiega una delle tre fondatrici, Nora el-Jebli, 31 anni, ragionieara presso la società americana Toolsgroup - ma far capire che esistiamo anche noi, e di qui avviare il dialogo". La nascita dell'organizzazione e' stato annunciata a metà febbraio nel corso di una conferenza presso la Grande Moschea di Amsterdam. "Siamo contro l'oppressione della donna - si legge nel sito dell'organizzazione - e per pari diritti per le donne e per tutti gli esseri umani, a prescindere dalla fede, dal sesso, dalla razza, dal reddito etc. Molte di noi portano il velo per esprimere la propria fede e la propria identità musulmana, per libera scelta e non perche' ce lo chiedano i nostri padri o mariti".

Il fatto è, si legge ancora nel sito, che "la discriminazione nel mercato del lavoro al momento e' forse il maggior ostacolo per il nostro processo di emancipazione. Se volete che noi ci 'integriamo' (ancora di piu'), dovete darcene la possibilita'". Un esempio concreto e' el-Jebli, che ha deciso di mettersi l'hijab (il velo che copre solo i capelli) nel 2004. "E' stata una decisione personale - spiega - presa dopo due incidenti d'auto". La donna, a dire il vero, personalmente non ha avuto particolari problemi, alla societa' Usa che l'ha assunta, racconta, "ho dovuto semplicemente spiegare che cos'e' questo velo e che cosa rappresenta di'per me". Ma sono moltissimi i casi in cui le donne con l'hijab ai colloqui di lvoro si sentono dire che "il velo non risponde alla cultura dell'azienda".

"Non vogliamo apparire patetiche - prosegue el Jebli - ma le donne con il velo non devono accettare un trattamento diseguale. La discriminazione c'e', soprattutto alle posizioni piu' elevate". In effetti per lo piu' soltanto per posti di lavoro di fascia bassa (come le imprese di pulizia) e' accettato il velo. Le difficolta' di trovare lavoro legate all'hijab sono un vero problema, soprattutto visto che proprio nella comunita' degli immigrati di origine marocchina la disoccupazione tocca il 20%, cinque volte superiore alla media nazionale. Non a caso a sostenere l'iniziativa delle 'brigate' e' anche la Federazione dei sindacati olandesi.

A sostegno delle donne con l'hijab si è schierata anche la Commissione per le pari opportunita' (Ogb), che e' intervenuta dopo che alcune lavoratrici hanno perso il posto a causa del velo. Del resto, l'organizzazione avverte che proprio questo tipo di discriminazione puo' favorire l'estremismo islamista. "Una efficace lotta alla discriminazione - scrivono nel sito - l'inclusione al posto dell'esclusione, e il mutamento dell'immagine (dell'Islam) sono molto importanti per respingere e prevenire l'estremismo, e anche per prevenire la marginalizzazione e la polarizzazione della prossima generazione".

Le tre fondatrici, del resto, sottolineano di difendere solo il velo sui capelli, non altre forme piu' radicali, come il velo integrale o il burqa. La Brigata, intanto, sta gia' attuando iniziative che hanno suscitato l'interesse dei media. Lo scorso 22 febbraio nella Grande Moschea Amsterdam hanno assegnato alla catena di supermercati Dirk van den Broek il 'premio del velo' in quanto azienda che piu' di tutte le altre accetta dipendenti con l'hijab.

25 mar 2009

PERCHE' I MUSULMANI CI ODIANO

mercoledì 25 marzo 2009, 12:09 "Ecco perché i musulmani ci odiano"



«Lo scontro di civiltà? Non è una trovata polemica, né tantomeno politica. È, molto semplicemente, una realtà storica». Bernard Lewis (foto sotto), 92 anni, è il più illustre islamista vivente. Il suo primo viaggio in Medio Oriente è del 1937: giovane studente dell’università di Londra si stabilì in Palestina per studiare arabo ed ebraico. Col tempo ha imparato anche aramaico, turco, iraniano, oltre a una mezza dozzina di dialetti diffusi nella regione. Dall’ufficio dell’università di Princeton, sulla costa est degli Stati Uniti, parla con entusiasmo del suo ultimo libro uscito in Italia, Le origini della rabbia musulmana, pubblicato pochi giorni fa da Mondadori, una raccolta di saggi con un denominatore comune, i rapporti tra il mondo musulmano e il nostro, il rancore dell’islam verso l’Occidente.

Allora, professor Lewis, perché l’islam ci odia?
«Le do due ragioni: perché ha un grande senso della storia e perché definisce la sua identità in termini religiosi».

E cioè?
«Nel mondo occidentale, soprattutto negli Stati Uniti ma anche in Europa, tendiamo a vivere nel presente, a dimenticare la storia, a cancellarne la consapevolezza. Nel mondo musulmano non è così. Le faccio un esempio: ai tempi della guerra tra Irak e Iran, negli anni ’80, mi colpì il fatto che la propaganda radiofonica delle due parti era piena di allusioni alla secolare storia di rivalità tra i due Paesi. E parlo di allusioni, riferimenti appena accennati, soprattutto al periodo medioevale, che perfino i contadini analfabeti riuscivano a cogliere. Quanto al secondo aspetto bisogna tener presente che in occidente tendiamo a definirci per nazionalità, per Paese. Nell’islam quello della nazionalità è uno sviluppo recente, non molto radicato. Noi definiamo la nostra identità su base nazionale e solo in seconda battuta su base confessionale. Loro fondano l’immagine di sé sulla religione e solo dopo vedono il Paese, la nazione».

E dunque…
«Dunque noi parliamo di occidente e di islam in modo più o meno generico. Loro vedono in maniera nettissima la distinzione tra i due mondi. E la interpretano nel senso più forte, come separazione tra credenti nel vero Dio e infedeli. E sono del tutto consapevoli della tensione, che dura ormai da 14 secoli, tra due realtà religiose, naturalmente simili ma incompatibili».

Che cosa intende?
«Voglio dire che islam e cristianesimo hanno più cose in comune tra di loro che con tutte le altre religioni. Da questo punto di vista si può quasi parlare di uno scontro interno tra religioni rivelate. Da sempre islamici e cristiani si parlano e discutono. Possono farlo perché hanno una piattaforma che li unisce. Non potrebbero farlo con cinesi o indiani».

Eppure, lei dice, sono anche incompatibili.
«Al mondo ci sono molte religioni ma solo due, tra le maggiori, hanno la pretesa universalistica di possedere la verità ultima ed esclusiva: cristianesimo ed islam. Da qui nasce il conflitto, più dalle similarità che dalle differenze: dal senso della propria missione divina. Da questa concezione di partenza il mondo cristiano si è via via allontanato. Non dimentichiamo invece che il mondo islamico ha appena iniziato il quindicesimo secolo della sua era. Pensiamo a che cosa era il cristianesimo del quindicesimo secolo, in preda alle guerre di religione tra protestanti e cattolici. Loro vivono ancora in quel mondo».
Da qui lo scontro di civiltà…
«Ancora più precisamente lo scontro tra due civiltà religiosamente definite. Certo oggi noi non siamo più soliti parlare di cristianità contrapposta all’islam, usiamo toni più sfumati, ma il fondamento è quello. E ripeto, la cosa più interessante è che la consapevolezza dello scontro sia molto più alta nel mondo islamico che in quello occidentale».

Guardando al mondo occidentale, lei scrive nel libro, l’islam teme soprattutto una cosa, il secolarismo.
«È di sicuro il peggior nemico degli islamici: ridurre o minimizzare il significato della religione nella vita umana. L’evoluzione che nei secoli si è verificata nel mondo cristiano è legata al punto di partenza: sin dall’inizio il cristianesimo ha visto una distinzione tra ambito religioso e ambito diverso dalla religione, tra Dio e Cesare. Nel mondo musulmano non è così. Guardi quanto sono diverse le circostanze: Gesù fu crocefisso, i suoi seguaci perseguitati. Quando i cristiani si impadronirono dell’impero romano c’era già una chiesa come istituzione separata. Maometto non fu crocifisso, creò non solo una comunità religiosa ma anche uno stato, di cui divenne subito il capo. La loro storia è di totale compenetrazione e identificazione tra governo e religione. Pensi che nella lingua araba, pure molto ricca di termini e sfumature, fino a tempi moderni non esistevano coppie di parole come laico-ecclesiastico o religioso-secolare. Quando sono state introdotte è avvenuto solo grazie alla minoranza cristiana di lingua araba che ha sviluppato un vocabolario di impronta culturale occidentale».

Chi alla persistenza di uno scontro di civiltà si è sempre ispirato è Osama bin Laden. Per lui gli occidentali erano e rimangono “Crociati”.
«Osama ha saputo parlare in maniera esemplarmente efficace all’immaginario collettivo dei suoi correligionari, diventando agli occhi delle masse arabe una specie di Robin Hood rispettato e ammirato. Un uomo incorrotto che, a differenza di quasi tutti gli altri leader della regione, non ha approfittato della sua posizione per passare dalla povertà alla ricchezza, ma che anzi era ricco e ha scelto la povertà. Anche se io penso che ormai dobbiamo parlarne al passato: non credo che sia ancora vivo o quanto meno nelle condizioni di esercitare un ruolo significativo. Le immagini e le dichiarazioni dei primi tempi avevano davvero una forza notevole. Era un maestro di oratoria e prosa in lingua araba, e gli arabi hanno sempre avuto un debole per i grandi oratori. Le sue parole, al di là dei suoi atti hanno avuto un grande impatto. Ma i suoi messaggi più recenti sono incerti e sfuocati. Da far dubitare, appunto, che sia lui a parlare».

18 mar 2009

ALLAHU EKBER




Esselamu aleikum fratelli e sorelle nell'Islam. Il video che vedete è il video dove si vedono i partigiani di Allah impiegati nello scontro con i Kafirun-integralisti-fanatici Serbo-Ortodossi. Date un occhiata sul video e vedete che fine hanno fatto e che uniliazione hanno avuto. E vedrete Insallah cosa gli aspetta nella dipartita estrema.





Esselamu aleikum braco i sestre. Leze krmci na sve strane, leze ili bjeze, samo laju psi sugavi cetnici.
Evo na ovom videu mozete viditi kako su prosli kafir,i Cetnicko-pravoslavni-inetgralisti i ekstremisti u bosanskom ratu. Ono sto vidite, tj. zivotinjski prosli na ovom svijetu a sta ih tek ceka na onom svijetu. Sta reci: ALLAHU AKBAR. LA ILA HE ILALLAH MUHAMEDEN RESULLALAH.

15 mar 2009

Libro in bosniaco

Informo tutti i miei lettori che in Bosnia ho fatto un intervista che ha fatto discuttere e che si può vedere qui nei commenti http://www.sarajevo-x.com/clanak/090308059/komentari . E' arrivata l'offerta dalla casa editrice bosniaca ILUM per pubblicare il mio libro in bosniaco. Molti dalle parti di mio marito non hanno capito che anche Samuel Hantington è arrivato a dire che la civiltà Occidentale comporta tre problemi: "è falsa, è immorale, è pericolosa”. Allora anche lui sarà un fondamentalista islamico che non "ama il nostro modo di vità"

Intanto così e vi saluto.

12 mar 2009

intervju za sarajevo-x.com

Esselamu aleikum svima braco i sestre u Islamu. Zelim svima da zahvalim na podrsci upucenoj meni ali ne bojte se izdrzacu ja ne samo na iskusenja nego i na glupe komentare kojih ima nazalost podosta. Necu se ponizavat da odgovaram na glupe odgovore i komentare jer najbolji lijek protiv navadenih stvari je ne odgovarati. Pretpostavljala sam da se islamofobima moj clanak i knjiga ne svidjaju nimalo, jer kad ukazete na problem vi postajete automatski odvratni i nesimpaticni. To sto mi moji istovjernici(braca i sestre u vjeri) pruzaju podrsku i kontaktiraju me je Allahova blagodat na kojoj sam jako zahvalna. Zivio ISLAM ma gdje bio taj isti Islam koji ce pobijediti i cije svijetlo nece biti utrnuto. (KUR'AN 61 SURA 8-9 AYET)





Deborah Callegari Hasanagić
"Zašto sam prešla na islam?"
Nekada katolkinja, a danas muslimanka. Deborah Callegari udala se za muslimana, Bosanca i prešla na islam. Svoje iskustvo smatrala je toliko važnim da ga je prenijela u knjigu 'Moj bijeg u Islam'/ 'La mia fuga verso l'Islam' objavljenu u Italiji. Javila se našoj redakciji kako bi prenijela osnovnu poruku knjige, a ona je - zapadna civilizacija je brod koji tone i ljudi se trebaju spašavati prelaskom na islam. Zbog toga, kako tvrdi Deborah Callegari Hasanagić, danas sve veći broj ljudi i prelazi na ovu religiju.


Razgovarao: Asim Bešlija

Gđo Hasanagić, možda nije toliko neobično to što ste promijenili vjeru, ali vjerovatno jeste da vas je to nagnalo da napišete knjigu. Ona se zove 'Moj bijeg u islam'. Zašto bijeg?

Zašto bijeg? Pitanje je odlično. Isto pitanje koje je postavio vaš kolega novinar na CANALE ITALIA Gianluca Versace kad me upitao - "Pa, ko vas goni, gospođo?". Ima tu dosta toga što bih ja mogla navesti, pa sam zato i odlučila da napišem knjigu. Shvatila sam da je islam disciplina koja reguliše svakodnevni život čovjeka i da u zamjenu nudi duhovno-moralnu stabilnost, jer religioznost je baza. A moj bijeg možete definisti kao bijeg s broda koji tone, a niko ništa ne radi da ga spasi, pa sam utočište morala naći na drugom brodu, u ovom slučaju islamu.

Možete li nam reći nešto o reakcijama na knjigu koja je objavljena u Vašoj domovini? Da li je izazvala ikakvu pažnju u javnosti?

Zasad, moja knjiga još nije izazvala stopostotnu pažnju jer ja nisam poznata još kao Yusuf Islam, Michael Jackson, Nikolas Anelka itd. Sjetimo se da je moja knjiga objavljena polovinom avgusta 2008., a ja sam već do sada imala nastupe na dvije regionalne i tri nacionalne televizije. Naprimjer, gostovala sam na "Alle falde del Kilimangiaro" na RAI tre i u emisiji "La festa Italiana" na RAI uno. Evo prije nekoliko dana smo bili pozvani ja i moj muž na RAI due na emisiju "Ricomincio da qui" ali je odgodiše zbog problema u redakciji. Moram reći da sam ja autorka koja još ima rada pred sobom. Što se tiče reakcija na moju knjigu, evo vam članak.

Šta je bio, recimo, ključni momenat u tome da donesete odluku da sa katoličanstva pređete na islam?

Momenata u mom životu ima, ali ih se ne mogu svih sjetiti. Ono što me nabrzalo prema Iislamu bilo je i to da sam čula ezan sa munare ispred indonezijske džamije u Sarajevu i kad sam vidjela kako mladi i stariji raznih uzrasta idu u džamiju. Dok sam čekala muža za vrijeme džuma namaza i prije, vidjela sam mlade cure kako pokrivene i propisno obučene idu pred Allaha. Ove vrijednosti na kršćanskom Zapadu nećete u crkvama vidjeti, njih jednostavno više nema i ne vjerujem da će se vratiti. Naprimjer, u Bibliji, Siradova knjiga kaže: Bolje muška zloća nego ženska dobrota. A, vi meni recite koja se žena još složila s ovom tvrdnjom?

Vaš muž je Bosanac, musliman, i Vi ste svome italijanskom imenu i prezimenu dodali još jedno bosansko. Kako je Vaša okolina u Italiji prihvatila ovu promjenu identiteta, dakle, ne samo onu suštinsku nego da kažemo i formalnu?

Nisu svi baš tako prihvatili s oduševljenjem moj prelazak na islam. Novinar koji me je intervjuisao za regionalne novine "L'Adige" poslije nekolika dana mi je dojavio da je u redakciju stiglo oko stotinjak pisama čitalaca negativnog sadržaja, ali samo poneke su objavili zbog mira i suživota u provinciji. Vjerujte mi da ni unutar familije nisam imala mira. Sestra me je napala kad me vidjela na regionalnoj TV TCA sa hidžabom, ali nisam popustila jer sam shvatila da je to iskušenje od Allaha poslano.

I danas živite u Italiji. Je li Vam neobično da kao rođena Italijanka, u vlastitoj zemlji koja je dominantno katolička, Vi danas budete muslimanka?

Pa, za mene to nije ništa neobično, ne osjećam nikakvu nostalgiju za povratkom. Ko bi se to vratio iz kancelarije u rudnik? Ponekad moram objašnjavati da nisam iz Maroka i Tunisa već Italijanka. Italija kao i čitav Zapad su sve manje katolički. Za pojedince je to teško shvatitim ali čućemo se inšallah poslije 2030.

U poređenju sa životom koji ste imali prije, koje su se promjene desile za Vas, a koje smatrate pozitivnim?

Moj život prije islama i sad su kao dva svijeta, različiti jedan od drugog. Naprimjer, u mom prijašnjem životu nisam htjela da čujem za rađanje djece, sklapanje braka s obzirom na rastući broj propalih brakova (u Italiji svako četiri minute raspadne se jedan brak) i denatalitet koji je u stalnom porastu. No, spoznavši islam danas sam sretno udata i imam dvoje djece - Aišu i Nasrullaha. U prijašnjem životu tj. prije islama za mene je bio teror ne jesti i piti od jutra do mraka (Ramazan) dok je to sad za mene zadovoljstvo i snaga imana. A ne zaboravimo da ramazanski post pomaže u mršanju svim osobama s viškom kila, ako se izabere kontrolisana ishrana. Pogotovo za žene koje njihovi muževi malo "zezaju" zbog "eh, kako si malo masivna".

Vi ste u nekim prethodnim intervjuima za bosanske medije govorili o tome kako dosta ljudi na Zapadu prihvata islam i uviđa njegove kvalitete. Kakva saznanja, zapravo, imate o tome i na čemu ih temeljite?

Jeste, dosta ljudi na Zapadu prihvata islam uprkos iskrivljenoj slici o njemu, i što je jako pozitivno, tu je dosta žena poput mene. Nažalost, ni RAI ni MEDIASET (Berluskonijevi kanali) ne iznose podatke, ali dosta toga se može naći na internetu jer internet je skoro nemoguće kontrolisati. Cifre se mijenjaju iz dana u dan. Jer ako je potražnja za Kur'anom i islamskom literaturom učetverostručena, pogotovo poslije 11. septembra, onda je i broj prelazaka udvostručen, ako ne i utrostručen. Znajte da danas nije više "trbuhom za kruhom" već "trbuhom za duhom".

U dosadašnjim javnim istupima čak ste poručivali 'spašavaj se ko može', aludirajući ovim na to zapadna civilizacija 'tone' i da je spas u islamu. Jesu li ovo pomalo radikalne ocjene?

Nisu u pitanju radikalne ocjene već pitanje duhovnosti i moralnosti. Naravno da moja poruka "spašavaj se ko može" nije i neće se nimalo svidjeti islamofobičnim huljama i manipulatorima. Zapadna civilizacija tone i to će se pokazati ako sagledate zapadni denatalitet, povišeni broj propalih brakova, a smanjeni broj sklopljenih brakova, duhovno-moralnu dekadenciju itd. Zapadna civilizacija je bolesna i da bi bila spašena zahtjeva zaokret, akciju i terapiju. A zaokret, akcija i terapija je ili gledati u islamsku budućnost ili povratak u kršćansku prošlost. A, Zapad ćorav i slijep zbog koprene na očima nametnute mu od strane mass-islamofobičnih medija, ne može da gleda u islamsku budućnost, a nesposoban za povratak na kršćansko-katoličke vrijednosti. A povratak na spomenute vrijednosti znači odreći se prostitucije, razvrata, nemorala i kratkotrajno-varljivih ovozemaljskih uživanja. A, odreći se svega navedenog značilo bi patnju. A, ko je to spreman na Zapadu na patnju iz prošlosti? To je iluzija ko misli da će se Zapad spasiti iskrivljenom slikom o islamu. I komunizam je pokušao "truhlim Zapadom" da se odbrani, pa je l' uspio?

Kakvu pouku biste željeli da ljudi izvuku kako iz Vašeg iskustva, tako i knjige, i mislite li da ju je u Italiji barem neko razumio?

Velika pouka je i ta da sam pobjegla s broda koji tone. Mnogi na Zapadu, a i unutar samih muslimana treba da se pitaju - pa, zašto je jedna Italijanka kao ja prihvatila islam i šta to nije u redu na Zapadu pa da prihvati islam? Uzmite primjer, ogromni brod sa 2.000, putnika a poslije 10 sati plovidbe vidite 50 putnika skočilo u more sa šlaufima za spašavanje. Oni ostali 1.950 putnika treba da se pita je l' nešto ne štima i nije u redu? Brod možda tone? A, ko se na Zapadu pita šta nije u redu? Žao mi je kad vidim ženu/curu muslimanku na Zapadu i okolini kako nesvjesno i neuko slijedi civilizaciju koju sam ja napustila i koju nipošto ne bih više slijedila. Da li će se moja knjiga čitati i u Bosni? Voljela bih čuti i mišljenje čitalaca.

Posjetite blog Deborah Muamere Callegari Hasanagić sololislam.blogspot.com.

10 mar 2009

maniff anti sioniste 09 01 09 MARSEI podrska braci musllimima u palestini

Quello che vedete è una manifestazione a Marsiglia (France) contro i crimini comessi da parte dei Sio-Nazisti che hanno ucciso 1300 civili Palestinesi. Bambina che guida la protesta , provate indovinare, è una bambina francese di origini Bosniache figlia di mamma francese anche lei convertita all'islam e di papà bosniaco ex-combattente islamico che ebbe combatutto i fanatici, integralisti e criminali Serbo-Ortodossi.

8 mar 2009

hadis del profeta s.a.v.s.

"Chiunque introduce qualcosa in questa nostra materia (l'Islam) che non è parte di essa, allora sarà rifiutato."
[Sahih Al-Bukhari 2697 e Sahih Muslim 1718]

Allora, spero che questo hadith faccia riflettere a certi riformisti, "ben integrati", "inseriti nella società" e via dicendo che non fanno altro che tentare di introdurre certe porcherie all'interno dell'Islam. La scelta esiste comunque. Dite la vostra

Magdi Allam e tutto quello che non sapete

"Che nome gli metterò? Lo voglio chiamar Pinocchio" (III)

Alla prima parte

Sul suo blog, Dacia Valent ha compiuto una delle provocazioni per cui noi la amiamo, mentre i polli che ci cascano la vorrebbero morta.
Ha semplicemente ripreso alcuni episodi traumatici della vita di Magdi Allam, descritti in Io amo l'Italia, senza però specificare a chi si riferivano. Commenta un furente "Andreamig", che evidentemente non ha capito di chi si parlava:

"Questa gentaglia deve stare fuori dall'Italia. Lo hai detto tu questo potrebbe essere un serial killer. Che se ne stia a casa sua. Pure mussulmano è e per questo ancora più pericoloso. Già c'abbiamo i nostri matti.........ci mancano anche quelli col turbante..............."
Crediamo che il titolo di serial killer sia inappropriato per descrivere Magdi Allam. Lo potremmo chiamare, piuttosto, un serial lover. Guardiamo, infatti i titoli di alcuni capitoli del suo libro:
Il primo "vagito italiano"
Un segno del destino [di diventare italiano]
Sognando Sivori [noto giocatore di calcio dell'epoca]
Italiani buoni egiziani
La Terra promessa [l'arrivo in Italia]
L'Italia da vivere
Grazie agli italiani
"Lei è il migliore degli italiani"
L'Italia da salvare
L'Italia, terra di conquista islamica
Per Magdi Allam, notoriamente, basta la visione di un sito internet, o ascoltare una predica di un quarto d'ora in moschea, per diventare kamikaze. Forse esagera; comunque è evidente che passare gli anni formativi, abbandonato dalla madre e vivendo, giorno e notte, in madrase gestite da religiosi, tra suore, preti e scout, lascia come dice lui stesso, "una traccia indelebile nella mia formazione umana" (p. 26).
Infatti, Magdi Allam è passato dalla materna e le elementari gestite dalle suore comboniane, alla Don Bosco, gestita dai salesiani.

Il passaggio di scuola fu

"una decisione repentina presa da mia madre perché i salesiani le garantivano che si sarebbero occupati di me dodici mesi l'anno".
Mamma Safeya "dal cuore d'oro" si era licenziata dalla famiglia Caccia, per diventare la domestica di un'aristocratica saudita, che la pagava molto di più, ma che Mamma Safeya doveva seguire in giro per il mondo. E così, per comprare l'Abbecedario a Magdi e soprattutto permettergli di "vivere in un ambiente socialmente superiore a quello della media degli egiziani" (p. 16), lo abbandonò totalmente nelle mani del clero italiano.
E' dal clero, e da qualche insegnante laico, che Magdi apprende il gusto di scrivere (definisce l'italiano la sua lingua madre); "è con i salesiani che ho conosciuto il Cairo", con loro che legge Topolino, e impara a tifare Juve.

Il contesto è quello surreale degli italiani d'Egitto, di cui ho conosciuto gli ultimi scampoli una quindicina di anni fa.


Magdi Allam, ovviamente, li ama.

Ora, è interessante sapere che si tratta dello stesso Magdi Allam che dedica un capitolo dello stesso libro, per spiegare il proprio concetto di integrazione: l'immigrato "deve conoscere adeguatamente la lingua italiana" (p. 270),

"è tenuto alla conoscenza della cultura italiana nel senso più ampio, comprese la religione cristiana e le altre fedi",
deve "condividere, interagire e far propri i valori fondanti della nostra identità nazionale", "deve condividere attività sociali, educative, ricreative, di volontariato, culturali con gli italiani".
Il tutto viene controllato tramite esami di "primo e secondo livello". Chi non riesce a distinguere perfettamente tra condizionale e congiuntivo, chi ignora la modalità della processione dello Spirito Santo che distingue cattolici da ortodossi (per modum intellegibilis actionis e per spiramen), o che non può portare almeno quattro biglietti usati della discoteca Las Vegas Ecstasy di Menegotto Superiore, deve essere espulso dall'Italia.

Se criteri simili fossero stati applicati agli stranieri d'Egitto, sarebbero rimasti davvero in pochi: cioè proprio quelli, come Edward Lane, Carlo Alfonso Nallino e René Guénon, che non erano venuti per fare fortuna.

Ho conosciuto italiani residenti in Egitto da tre o quattro generazioni, che in arabo sanno dire, al massimo, "vieni qui!", "portami questo!" e "costa troppo!"


I greci d'Alessandria possiedono un gigantesco isolato in città, dove c'è il consolato, il circolo culturale e le loro madrase, servite da insegnanti inviati direttamente dalla Grecia, che ai ragazzi fanno provare l'ebbrezza di sentirsi discendenti di Omero e di Pericle.

La domenica, l'intera comunità greca è invece in chiesa, ad ascoltare prediche rigorosamente in greco - ricordiamo che Magdi Allam esige che nelle moschee in Italia si parli solo in italiano. Ripeto, non si tratta di immigrati recenti, ma di nipoti e pronipoti. Almeno il 95%, poi, sono analfabeti, del tutto incapaci di leggere - né tantomeno scrivere - nella scrittura ufficiale del paese che li ospita.

In questo, non c'è vero e proprio razzismo: greci e italiani sono disposti a interagire, e persino a sposarsi, con nativi egiziani che abbiano un ottimo reddito, parlino perfettamente qualche lingua occidentale e indossino regolarmente la giacca e la cravatta. Nativi egiziani che devono condividere lo sdegno, diffuso tra stanieri di tutte le comunità, per l'oltraggioso comportamento del governo italiano, che non ha permesso la sepoltura dell'ultimo re d'Italia nel Pantheon.

Tutto questo, ovviamente, Magdi Allam, sopraffatto da invidioso amore, non ce lo racconta.


Racconta invece dei problemi che hanno avuto molti italiani nel 1967. Ricordiamo che quell'anno, l'Egitto fu attaccato da un suo vicino, che si autodefinisce "stato ebraico". Lo stesso Magdi Allam accenna alla distruzione in poche ore dell'intera aviazione egiziana, l'esercito in rotta, i bombardamenti su Cairo e le immense masse di profughi che fuggiranno poi dai bombardamenti israeliani su Port Said e Suez (lo racconta solo per lamentarsi di come questi buzzurri abbiano intasato la "sua" Cairo).

Tutto questo non lo preoccupa. Invece, scrive con sdegno di come "la gente mostrava dei pupazzi raffiguranti lo stereotipo dell'ebreo e li bruciava pubblicamente", non si sa bene perché.

Tutto ciò mi ha fatto venire in mente Sigrid, una splendida signora tedesca che aveva sposato un medico egiziano - cristiano - subito dopo la guerra, e che si distingueva da tanti stranieri per l'autentico rispetto che aveva per l'Egitto.

Era il novembre del 1956. Senza dare preavviso, Israele, Inghilterra e Francia avevano attaccato l'Egitto. Migliaia di civili erano morti nei bombardamenti.

Sigrid, che abitava ad Alessandria, rimase in casa per ore, dopo aver sentito la notizia. Bionda e dalla pelle chiarissima, inconfondibilmente khawâga, pensava, se esco verrò linciata.

Poi si fece coraggio, uscì dal portone e salì su un tram.


I passeggeri la guardarono sorpresi.


Poi un signore si alzò e le disse, "itfaddalî": "Prego, si sieda".

Dopo poco Geppetto tornò: e quando tornò aveva in mano l'Abbecedario per il figliuolo, ma la casacca non l'aveva più. Il pover'uomo era in maniche di camicia, e fuori nevicava.

- E la casacca, babbo?

- L'ho venduta.

- Perché l'avete venduta?

- Perché mi faceva caldo.

3 mar 2009

Scandalo pedofilia in seminario, choc in Austria

Scandalo pedofilia in seminario, choc in Austria


Inchiesta su 40 mila foto e filmati trovati nella biblioteca della più conservatrice scuola cattolica per sacerdoti
Il direttore e il vice dell’istituto si sono dimessi. Sei anni fa il primate di Vienna costretto a lasciare per una vicenda di abusi

BERLINO - In apparenza è un seminario. Anzi, il più tradizionalista e ultraconservatore dei seminari cattolici in Austria, luogo di religiosa purezza, preghiera e pio magistero alla cura delle anime, dove volentieri l’anziano arcivescovo Kurt Krenn predicava, bollando con parole di fuoco i rei contro natura.

In realtà, quello della diocesi di Sankt Pölten, ottanta chilometri a Ovest di Vienna, è stato in questi anni un antro di orchi pedofili, teatro di perversioni peccaminose, una Sodoma asburgica dove preposti e seminaristi indulgevano spesso e volentieri in orge omosessuali, giochi erotici e notti scandite da alcol e sesso, al posto delle orazioni. Qualcuno parla anche di parodie naziste e cerimonie ufficialmente esecrate dal Vaticano, come la celebrazione di un finto matrimonio gay, fra due aspiranti preti, officiato dal direttore, inutile precisare tutti in costume adamitico.

C’è ancora del marcio nella Chiesa austriaca. A sei anni dallo scandalo del cardinale Hans Hermann Groer, l’ex primate, morto nel 2003, che era stato riconosciuto colpevole di aver sessualmente abusato di giovani religiosi, una nuova, devastante scoperta scuote le fondamenta del cattolicesimo viennese.

Non più sospetti o bugie di «querulanti ubriachi», come aveva fin qui sostenuto monsignor Krenn, capo della diocesi incriminata, quando il tema era più volte venuto a galla in passato. Ma un’incredibile documentazione fotografica, scoperta un anno fa nei computer della biblioteca del seminario e ora al vaglio delle autorità di polizia, in attesa della formale apertura di un’inchiesta criminale da parte della magistratura. Almeno 40 mila istantanee e una quantità imprecisata di filmati pornografici, che illustrano con precisione e ricchezza di dettagli gli esercizi, non esattamente spirituali, di Sankt Pölten. Alcune di queste comprenderebbero atti sessuali dei preposti con minorenni.

A svelare lo scandalo, il settimanale Profil , che nell’edizione in edicola ieri ha pubblicato alcune delle foto, dove i religiosi e i loro allievi vengono immortalati mentre si baciano appassionatamente sulla bocca. Secondo il periodico, l’inchiesta è partita, dopo che diverse immagini e film girati a Sankt Pölten erano apparsi su un sito a luci rosse polacco.

Il direttore del seminario, Ulrich Küchl e il suo vice, Wolfgang Rothe, si sono dimessi, pur protestando la loro innocenza. Su di loro pende l’accusa di pedofilia. La diocesi si è schierata a quadrato in loro difesa. Monsignor Krenn, soprattutto, ha definito gli addebiti infondati, liquidando addirittura le foto, che ha ammesso di aver visto, come «ragazzate».

Fortunatamente, i vertici della Chiesa viennese sono di ben altro parere. «Tutto ciò che ha a che fare con la pratica dell’omosessualità, non può trovare spazio in un seminario per preti», recita un comunicato della Conferenza episcopale austriaca, che ha anche annunciato l’avvio di una indagine interna, al termine della quale non è difficile prevedere le dimissioni di Krenn, 68 anni, da vescovo di Sankt Pölten.

E in questo senso si sono già levate diverse voci dall’interno del mondo cattolico: «Krenn è il vero responsabile e deve rispondere di tutto questo davanti alla Chiesa e a Dio». ha detto Martin Walchhofer, il prelato che supervisiona tutti i seminari austriaci. Anche la politica è intervenuta. «Collezionare materiale pornografico, che coinvolge bambini, non può essere liquidato come una ragazzata», ha dichiarato Thomas Huber, leader dei Verdi. Un portavoce dell’opposizione socialdemocratica, Hannes Jarolim, ha chiesto al ministero dell’Interno di indagare per favoreggiamento nei confronti dello stesso arcivescovo e aprire una procedura formale.

Secondo Profil , una foto documenterebbe la celebrazione del matrimonio gay da parte del reverendo Küchl. Il resto del materiale, con le parole del procuratore Walter Nemec, «mostra i seminaristi in situazione perverse con i loro superiori».

Un seminarista di Sankt Pölten, citato dal settimanale, afferma che «tutti sapevano cosa succedesse da noi, non era possibile ignorarlo, ma nella Chiesa domina un silenzio di piombo, quando si tratta di temi tabù, semplicemente non sappiamo in che modo affrontare correttamente il problema». Quelli che avevano provato a parlarne direttamente con i due superiori o con Krenn, sono stati subito identificati da loro come nemici e isolati.

Anche la polizia, afferma Profil , avrebbe trovato all’inizio grosse difficoltà a rompere il muro dell’omertà di Sankt Pölten, dopo la scoperta del materiale e le prime denunce inviate via email da alcuni seminaristi.

http://www.arcigaymilano.org/stampa/rs.asp?BeginFrom=135&ID=13447