29 nov 2010

Secondo Olocausto

L'incubo del giorno del secondo Olocausto
di Benny Morris
Il secondo Olocausto non sarà come il primo. Certo, anche i nazisti ordirono uno sterminio di
massa. Ma, in qualche modo, avevano un contatto diretto con le vittime. Che disumanizzavano,
dopo mesi, anni di atroce degradazione fisica e morale, prima dell'uccisione vera e propria. Ma con
cui avevano pur sempre stabilito un contatto fisico: vedevano, sentivano, talvolta toccavano le loro
vittime. I tedeschi — e i loro alleati — rastrellavano uomini, donne e bambini, per poi trascinarli e
randellarli lungo le strade, freddarli nel bosco più vicino o scaraventarli e stiparli nei vagoni di un
treno, da cui iniziava il viaggio verso i campi di sterminio, dove «Il lavoro rende liberi».
Separavano gli individui di costituzione robusta da quelli completamente inutili, che adescavano
nelle «docce» attraverso cui veniva pompato il gas; estraevano o presiedevano alla rimozione dei
corpi e preparavano, infine, le «docce» per il plotone successivo.
CRISI - Il secondo Olocausto sarà ben diverso. Un bel giorno, tempo cinque o dieci anni, magari
nel pieno di una crisi regionale, o quando meno ce lo aspetteremo, un giorno o un anno o cinque
anni dopo che l'Iran si sarà dotato della Bomba, i mullah di Qom convocheranno una seduta segreta,
sulla quale campeggerà il ritratto dell'ayatollah Khomeini, con i suoi occhi di ghiaccio, per dare il
placet al presidente Ahmadinejad, giunto oramai al secondo o al terzo mandato. Tutti i comandi
saranno eseguiti, i missili Shihab-3 e 4 saranno lanciati verso Tel Aviv, Beersheba, Haifa,
Gerusalemme e, probabilmente, anche contro alcuni campi militari, comprese le sei basi aeree e
missilistiche nucleari (o presunte tali) di Israele. Qualche missile sarà dotato di testata nucleare, in
qualche caso addirittura multipla. Altri saranno di tipo standard, muniti solamente di agenti chimici
o batteriologici, o stipati di vecchi giornali, per scalzare o spiazzare le batterie anti-missilistiche e le
unità dell'esercito israeliano.
Per un Paese delle dimensioni e la conformazione di Israele (una striscia di terra oblunga di circa 21
mila chilometri quadrati), quattro o cinque lanci saranno probabilmente sufficienti. E addio Israele.
Un milione o più di israeliani, nelle maggiori aree di Tel Aviv, Haifa e Gerusalemme, periranno sul
colpo. Milioni saranno gravemente irradiati. Israele conta sette milioni di abitanti circa. Nessun
iraniano vedrà né toccherà alcun israeliano. Tutto si svolgerà in modo molto impersonale.
DANNI COLLATERALI - Ci saranno inevitabilmente anche morti di nazionalità araba. Circa 1,3
milioni di abitanti di Israele sono arabi e altri 3,5 milioni vivono nelle aree ancora in parte occupate
della Striscia di Gaza e in Cisgiordania. Gerusalemme, Tel Aviv, Jaffa e Haifa contano nutrite
minoranze arabe. E attorno a Gerusalemme (vedi El Bireh, vicino a Ramallah, Bir Zeit e Betlemme)
e Haifa sorgono vaste aree a densa popolazione araba. Anche qui saranno in moltissimi a morire,
sul colpo o poco a poco.
E' improbabile che un simile massacro possa turbare Ahmadinejad e i mullah. Gli iraniani non
amano particolarmente gli arabi, nutrono particolare disprezzo per i palestinesi sunniti che, in fin
dei conti, pur essendo inizialmente dieci volte più numerosi degli ebrei, nel corso di un conflitto che
si è protratto per anni non sono riusciti a impedire loro di fondare lo Stato ebraico, né di prendere
possesso di tutta la Palestina. Di più, i leader iraniani considerano la distruzione di Israele come un
supremo comando divino, l'araldo della Seconda Venuta, e la morte collaterale degli islamici come
il sacrificio di shuhada (martiri) sull'altare di una causa nobile. In ogni caso, il popolo palestinese,
sparso un po' in tutto il mondo, sopravviverà, assieme alla grande nazione araba di cui è parte
integrante. E va da sé che, per liberarsi dello Stato ebraico, gli arabi devono essere pronti a qualche
sacrificio. E il gioco, considerandolo nel bilancio generale, vale la candela.
Ma un'altra questione potrebbe essere sollevata nel corso di queste consulte: e Gerusalemme? La
città, infatti, ospita due dei luoghi più sacri dell'Islam (dopo la Mecca e Medina): le moschee di Al
Aqsa e di Omar. Con ogni probabilità, però, la suprema guida spirituale Ali Khamenei e
Ahmadinejad darebbero a questa domanda la stessa risposta che sfoggerebbero per il più generale
problema della distruzione e dell'inquinamento radioattivo dell'intera Palestina: la città e la terra,
per grazia di Dio, in venti, cinquanta anni al massimo torneranno come prima. E saranno restituite
all'Islam (e agli arabi). Senza la benché minima traccia di contaminazioni radioattive.
RISCHIO CALCOLATO - A giudicare dai continui riferimenti, da parte di Ahmadinejad, alla
Palestina e all'urgenza di distruggere Israele, e dalla negazione, di cui si è fatto portavoce, del primo
Olocausto, si direbbe che l'uomo sia ossessionato. Tratto che condivide con i mullah: entrambi
vengono dalla scuola di Khomeini, prolifico antisemita noto per le folgori scagliate contro il
«piccolo Satana». E a giudicare dal concorso, da lui promosso, per le vignette sulla Shoah, o dalla
Conferenza sull'Olocausto (appena conclusasi), emerge un presidente iraniano arso da un vortice di
odio profondo (oltreché, naturalmente, insolente).
Ahmadinejad, infatti, è pronto a mettere a repentaglio il futuro dell'Iran, se non addirittura di tutto il
Medio Oriente musulmano, in cambio della distruzione di Israele. Non v'è alcun dubbio che egli
creda che Allah, in un modo o nell'altro, proteggerà l'Iran da una risposta nucleare israeliana o da
un'eventuale controffensiva Usa. E, Allah a parte, è facile che egli creda che i suoi missili
polverizzeranno lo Stato ebraico, annienteranno i suoi leader, distruggeranno le basi nucleari
terrestri e demoralizzeranno o spiazzeranno i comandanti dei sottomarini nucleari in modo così
drastico ed efficace da neutralizzare qualsivoglia reazione. E, con il suo profondo disprezzo per il
pavido Occidente, è improbabile che il leader iraniano prenda in seria considerazione la minaccia di
una rappresaglia nucleare Usa.
Ma può anche darsi che egli sia consapevole del rischio di un contrattacco e si professi tout court —
e, secondo il nostro modo di pensare, in modo assolutamente irrazionale — disposto a pagarne le
conseguenze. Come il suo mentore Khomeini ebbe a dire, nel 1980, durante un discorso ufficiale a
Qom: «Noi non veneriamo l'Iran, ma Allah... Per questo dico: che questa terra bruci. Che vada in
fumo, purché l'Islam ne esca trionfante...». Per tali cultori della morte, persino il sacrificio della
propria patria vale bene la cancellazione di Israele.
Come il primo, anche il secondo Olocausto sarà preceduto da lustri di indottrinamento dei cuori e
delle menti da parte di leader arabi e iraniani, intellettuali occidentali e sfoghi mediatici. Il
messaggio è cambiato a seconda del pubblico ma, di fatto, l'obiettivo di fondo è stato sempre lo
stesso: la demonizzazione di Israele. Ai musulmani di tutto il mondo è stato insegnato che «i
sionisti e gli ebrei incarnano il male» e che «Israele dovrebbe essere distrutto». E agli occidentali, in
modo più subdolo, è stato inculcato che «Israele è uno Stato tiranno e razzista» che «nell'età del
multiculturalismo, è inutile e anacronistico».
COMUNITÀ INTERNAZIONALE - La campagna per il secondo Olocausto (che, tra l'altro, alla
fine provocherà all'incirca tanti morti quanti ne fece il primo) si è svolta in una comunità
internazionale lacerata e guidata da ambizioni egoistiche e discordanti, con Russia e Cina
ossessionate dalle prospettive di mercato nei Paesi musulmani, la Francia dal petrolio arabo e gli
Usa portati, dopo la débâcle irachena, a un profondo isolazionismo. L'Iran è stato lasciato libero di
proseguire sulla china del nucleare, e la comunità internazionale non è intervenuta nello scontro tra
Israele e il regime degli Ayatollah.
Ma uno Stato israeliano sostanzialmente isolato — come un coniglio improvvisamente abbagliato
dai fari di una macchina —, non può essere all'altezza della situazione. La scorsa estate, guidato da
un mediocre politicante come Primo ministro e da un sindacalista da strapazzo come ministro della
Difesa, schierando un esercito addestrato per gestire le inesperte e sguarnite bande palestinesi nei
Territori occupati (e troppo intento a fare fronte a eventuali disgrazie o a provocarle), Israele è
uscito perdente da un mini-conflitto di appena trentaquattro giorni contro una piccola guerriglia di
fondamentalisti libanesi spalleggiata dall'Iran. Quell'episodio ha totalmente demoralizzato la
leadership politica e militare israeliana.
Da allora, i ministri e i generali israeliani, così come i loro omologhi occidentali, assistendo al
graduale approvvigionamento di armi letali a Hezbollah da parte dei fiancheggiatori di quest'ultimo,
sono divenuti sempre più sfiduciati e pessimisti. Paradossalmente, è addirittura possibile che i
leader israeliani abbiano gradito gli appelli alla moderazione da parte dell'Occidente. E, con ogni
probabilità, hanno voluto disperatamente credere alle promesse occidentali che qualcuno — l'Onu,
il G7 —, in un modo o nell'altro, avrebbe cavato la castagna radioattiva dal fuoco. C'è stato
addirittura chi ha abboccato alla bislacca promessa di un cambio di regime a Teheran il quale,
pilotato dal cosiddetto ceto medio laico, avrebbe progressivamente messo il bastone tra le ruote al
fanatismo dei mullah.
NUCLEARE - Ma, fatto ancor più rilevante, il programma iraniano ha costituito una sfida
infinitamente complessa per un Paese con risorse militari limitate e di tipo convenzionale qual è
Israele. Prendendo l'imbeccata dall'operazione con cui l'Aeronautica militare israeliana, nel 1981,
riuscì a distruggere il reattore nucleare iracheno di Osiraq, gli iraniani hanno raddoppiato e
dislocato i propri impianti, nascondendoli anche molti metri sottoterra (e a ciò va aggiunto il fatto
che la distanza tra Israele e gli obiettivi iraniani è doppia rispetto a quella con Bagdad). Per
smantellare con le armi convenzionali gli impianti israeliani conosciuti, occorrebbe una capacità
aeronautica pari a quella Usa impegnata giorno e notte, e per oltre un mese. Nella migliore delle
ipotesi, l'aeronautica, la marina e il commando israeliano potrebbero sperare di fermare solo in parte
il progetto iraniano. Il quale, tutto sommato, non subirebbe sostanziali modifiche. Con gli iraniani
ancora più determinati (ammesso che ciò sia possibile) a sviluppare quanto prima la Bomba. (Altra
conseguenza immediata sarebbe senz'altro una nuova campagna terroristica di stampo islamista e su
scala globale contro Israele — e forse anche contro i suoi alleati occidentali — assieme,
naturalmente, a un'involuzione pressoché generale. Manipolati da Ahmadinejad, tutti
rivendicherebbero che il programma iraniano aveva scopi pacifici). Tutt'al più, un attacco
convenzionale da parte di Israele potrebbe procrastinare il progetto iraniano di uno o due anni.
OPZIONI - In quattro e quattr'otto, dunque, la sprovveduta leadership di Gerusalemme si troverà
davanti a uno scenario apocalittico, sia che lanci un'offensiva convenzionale dagli effetti marginali,
sia che opti per un attacco nucleare preventivo contro gli impianti iraniani, alcuni dei quali situati
vicino o dentro le principali città. Ne avrebbe il fegato? La sua determinazione a salvare Israele
basterebbe a giustificare l'attacco preventivo, con la conseguente morte di milioni di iraniani e, di
fatto, la distruzione dell'Iran?
Il dilemma è stato rigorosamente chiarito già molto tempo fa da un generale molto saggio: l'arsenale
nucleare israeliano a nulla può servire. Può soltanto essere schierato «troppo presto» o «troppo
tardi». Il momento «giusto» non arriverà mai. Se schierato «troppo presto», ossia prima che l'Iran si
fosse procurato gli ordigni nucleari, Israele sarebbe stato degradato a paria nello scacchiere
internazionale, bersaglio della furia della comunità musulmana mondiale, senza più alcun Paese
disposto a spalleggiarlo. Schierarlo «troppo tardi», invece, vorrebbe dire colpire ad attacco iraniano
già avvenuto. E a che pro?
I leader israeliani, quindi, stringeranno i denti sperando che, in qualche modo, le cose si aggiustino
da sé. Magari, una volta ottenuta la Bomba, gli iraniani si comporteranno in modo «razionale»?
CATASTROFE - Ma questi ultimi sono guidati da una logica superiore. Lanceranno i loro missili.
E, come per il primo Olocausto, la comunità internazionale non muoverà un dito. Tutto avverrà, per
Israele, in pochi minuti; non come negli anni '40, quando il mondo stette cinque lunghi anni a
torcersi le mani senza battere ciglio. Dopo i lanci di Shihab, la comunità internazionale manderà
navi di soccorso e assistenza medica per quanti sopravviveranno alle esplosioni. Ma non attaccherà
l'Iran. Quale sarebbe il prezzo? E il tornaconto? Optando per una controffensiva nucleare, gli Usa si
alienerebbero definitivamente l'intero mondo musulmano, esasperando e generalizzando il già
acceso scontro di civiltà. Ovviamente, senza potere riportare in vita Israele. E allora che senso
avrebbe? Il secondo Olocausto, però, sarà diverso nel senso che Ahmadinejad non vedrà né
toccherà concretamente gli individui di cui sogna tanto la morte. Anzi, non vi saranno scene come
quella che sto per raccontarvi, riportata da Daniel Mendelsohn nel suo recente libro The Lost, A
Search for Six of Six Million, in cui viene descritta la seconda Aktion dei nazisti a Bolechow,
piccolo paesino della Polonia, nel settembre 1942.
«La signora Grynberg fu vittima di un episodio terribile. Gli ucraini e i tedeschi, facendo irruzione
nella sua casa, la trovarono che stava partorendo. A nulla valsero le lacrime e le suppliche degli
astanti: la portarono via, ancora in vestaglia, dalla sua casa, e la trascinarono fino alla piazza davanti
al municipio. E lì... fu spinta a forza sopra un cassonetto per l'immondizia nel cortile del municipio,
e tra gli scherni e i dileggi della folla di ucraini presenti, insensibili al suo dolore, partorì. Il
bambino le fu immediatamente strappato dalle braccia con tutto il cordone ombelicale. Fu
scaraventato verso la folla, che prese a schiacciarlo coi piedi. Lei fu lasciata sola, con le ferite e i
brandelli di carne sanguinanti, e così rimase per qualche ora, appoggiata a un muro, fino a che non
fu portata alla stazione ferroviaria e, assieme agli altri, fatta salire su un vagone verso il campo di
sterminio di Belzec».
Nel prossimo Olocausto non ci saranno episodi così strazianti. Non vedremo vittime e carnefici
coperti di sangue (anche se, a giudicare dalle immagini di Hiroshima e Nagasaki, le conseguenze
delle esplosioni nucleari possono essere altrettanto devastanti). Ma sarà comunque un Olocausto.


(Corriere della Sera, 20 dicembre 2006 - trad. Enrico Del Sero)

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