IL VELO COME SIMBOLO DEL FEMMINISMO ISLAMICO.
di Irene Aaminh Ricotta.
Premessa.
Questo articolo è il testo del discorso tenuto l’8 Marzo nelle sedi dell’Associazione Culturale Marocchina di Padova alla presenza del Consigliere Comunale Giulia Beltrame che insieme all’assessore per le Politiche sull’Immigrazione Chiara Ruffini è in prima linea nel dialogo con le diverse comunità etniche e religiose di Padova al fine di raggiungere insieme una pacifica coabitazione basata sulla conoscenza e il rispetto reciproco.
Il titolo è anche una risposta al libro recentemente pubblicato da Giuliana Sgrena che dimostra una totale superficialità come altri nomi noti che l' hanno preceduta e che l' affiancano tuttora.
Il tutto ha del paradossale dal momento che tante donne musulmane che portano il velo sono andate a spiegare più e più volte, su vari siti compaiono più e più spiegazioni mentre i vari Allam I e II, la Sbai, si sprecano in elucubrazioni mentali vacue che lasciano il tempo che trovano ma che vengono valorizzate dal fatto che si tratta di arabi musulmani, la Santanché donna di “fede” che vuole impedire che si insegni il Corano a scuola (ma chi lo ha chiesto) ci sono i centri culturali che organizzano spesso ottimi corsi di religione,
Per l’Islâm è molto importante anche la vita familiare per l’apprendimento della religione.
Il velo è un falso problema e nasconde la grande paura di un maturo confronto con l’altro!
Articolo.
Il velo delle donne musulmane nell’immaginario collettivo è oggi giorno divenuto il simbolo di una forma repressiva e oppressiva nei confronti della libertà delle donne che appartengono alla religione islamica e in particolare quelle provenienti dai paesi arabi o asiatici a maggioranza musulmana.
Quasi sempre si associa all’idea del velo anche quella di clausura e quindi di assenza da parte della donna di una reale partecipazione alla vita sociale o peggio ancora alla vita reale tout-court.
Secondo il Corano e la Sunnah, cioè la consuetudine Profetica*1 il velo è un obbligo per la credente che voglia adempiere correttamente gli insegnamenti della propria sreligione.
Suratu anzalnaha ua faradnaha recita l’incipit della Suratu’n-Nûr questa espressione indica che va considerato un diretto obbligo divino ogni genere di normativa contenuta nella surah.
Naturalmente ridurre il tutto ad un mero obbligo è fuorviante e priva l’oggetto in questione, cioè il velo, di tutto il suo valore materiale e spirituale all’interno del paradigma islamico.
Diversi sono i versetti che menzionano la copertura della donna e altrettanto diversi sono i significati veicolati da ciascun versetto ma importante è il valore che essi trasmettono e ancor più importante è che questo valore venga compreso non solo all’interno ma anche all’esterno della società musulmana.
La prima occorrenza della parola hijâb nel Corano è nel versetto 17 della Suratu Mariam* XIX del Corano: “ E ricorda Maria nella Scrittura quando si appartò dalla sua gente in luogo ad Oriente. E si avvolse in un velo (hijâb) per proteggersi da loro. […]”
Qui si parla del più alto simbolo di devozione e di spiritualità islamica, Maria Madre di Gesù la quale adotta un velo per proteggersi, per proteggere la propria sacralità e la propria intima spiritualità.
Poi ci sono i versetti 30 e 31 e 60 della Suratu’n-Nûr: 30” E dì ai credenti di abbassare i loro sguardi e di essere casti. Ciò è più puro per loro. Allah ben conosce il loro operare.”
31:”E dì alle credenti di abbassare i loro sguardi e di non mostrare dei loro ornamenti se non ciò che appare; e di lasciar scendere il loro velo fin sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri che ai loro mariti, ai loro figli, ai loro fratelli ai figli dei loro fratelli, ai figli delle loro sorelle, alle loro donne, alle schiave che possiedono, ai servi maschi eunuchi, ai ragazzi impuberi che non hanno interesse per le parti nescoste delle donne. E non battano i piedi, sì da non mostrare gli ornamenti che celano. Tornate pentiti ad Allah, tutti quanti o credenti, affinché possiate prosperare.[…]
La “circostanza della rivelazione” (sabab an-nuzûl) è legata ad una tradizione profetica riferita da °Ali Ibn Abî Tâlib: che sosteneva che: “Un uomo camminava in una delle tante strade di Medina per raggiungere il Profeta* ad un certo punto incontrò una donna e iniziarono a guardarsi intensamente Satana li tentò facendo in modo che si intensificassero ancor più gli sguardi per la loro vanità.
L’uomo però camminava quasi attaccato al muro fintanto che andò a sbattere e si ruppe il naso.
E disse: “ giuro su Allah che non mi ripulirò del sangue finchè non sarò giunto presso il Profeta* .
Non appenda si trovò dinanzi al Profeta gli raccontò la sua storia e il Profeta* rispose:” questo è stato il castigo di Allah” così venne rivelato il versetto “Dì ai credenti di abbassare i loro sguardi”!
Questo versetto venne ispirato dalla circostanza in cui Asma’ bint Mirthad che esse facevano tintinnare allorché danzavano; Asma’ rimase profondamente turbata dall’accaduto, a seguito di ciò dunque venne rivelato questo versetto.
Diversi sapienti sostengono che quell’ “eccetto ciò che appare” debba intendersi con i vestiti il volto e le mani.
A sostegno di ciò è prova un altro hadîth del Profeta*contentuto nella raccolta di Abû Daûd, e riferito dalla madre dei credenti °Ai’sha: ”Asma’ bint Abû Bakr entrò presso il Profeta* con degli abiti trasparenti. Allora rivoltosi a lei Il Profeta* disse:” O Asma’, quando la figlia diventerà pubere è bene che si vedano di lei solo questi. (Indicò il volto e le mani.)
Questa normativa inerente il velo ha molteplici significati.
Innanzitutto ha lo scopo di mantenere la purezza come sostiene il Profeta* in questo hadîth riportato Zaîd Ibn Talha ( Mâlik e Ibn Mâja) :”Ogni religione è caratterizzata da una qualità morale: la qualità morale dell’Islâm è la purezza”.
Tale purezza la si preserva attraverso la sconfitta delle passioni e delle pulsioni, in particolar modo quella sessuale che impedisce all’uomo di vedere la donna come essere dotato di intelletto e di spiritualità riducendolo a pura merce di consumo.
Tale in un certo senso era stata anche la posizione di Simone De Beauvoir, la madre del femminismo occidentale la quale vestiva con ampie gonne lunghe e maglie a collo alto e proteggeva i suoi capelli con un turbante, costei pur adottano una modalità di abbigliamento affine a quella delle donne musulmane non comprese mai il valore e l’importanza del velo, come le sue epigoni in tanta parte dell’Occidente.
La lingua araba ha la caratteristica che ogni termine ha al contempo valore materiale e spirituale, significato concreto e astratto e il velo indica anche, metaforicamente, la deferenza e il rispetto anche nel parlare che deve esserci tra uomo e donna proprio per preservare quella purezza che fa parte della nostra natura originaria.
Un altro significato legato al precedente è proprio quello di fare in modo che la donna possa liberamente circolare senza essere oggetto di molestie e vivere la propria vita non appartata dalla società ma facendone parte e contribuendo in maniera significativa alla sua costituzione e costruzione armoniosa.
A tal proposito è bene ricordare che al tempo del Profeta* e durante il primo millennio dell’Islâm, quando ancora la parola sharî°a aveva un valore e non era una bandiera dietro la quale alcuni governi corrotti si celano per legittimare le loro nefandezze insozzandone il significato, la donna libera, commerciante, mecenate, la studiosa, la maestra spirituale, si distinguevano dalle schiave o dalle domestiche proprio per il fatto che esse indossavano il velo mentre le schiave non lo utilizzavano.
In questo modo il velo è la manifestazione concreta e visibile della libertà della donna di fare parte della vita sociale insieme agli uomini.
Quindi il velo assunse fin dall’inizio valore come simbolo della libertà e della dignità della donna.
E in tale accezione le donne religiose e devote lo vivono e lo sentono.
Oggi la pratica della schiavitù è scomparsa presso le società e i paesi islamici ma non scompare il valore di libertà sociale e dignità veicolato proprio dal velo.
A questo punto viene spontaneo citare il versetto 59 della Suratu’Ahzâb:”O Profeta* dì alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti di coprirsi dei loro mantelli (jallabihinna) così da essere riconosciute e da non essere molestate.
Dalle occorrenze nel Corano e dalla Sunnah possiamo ricavare che il velo è un indumento la cui importanza ha un enorme valore sul piano etico e ancor più su quello spirituale, poiché ad esso sono legate concettualmente le idee di purezza, intimità, sacralità e rivelazione.
La donna è protetta dal velo contro le molestie e gli sguardi lascivi di chi ne vorrebbe fare un mero instrumentum libidinis ad esclusivo beneficio dell’uomo e a detrimento della indole intellettuale e spirituale della donna.
Il velo è una protezione spirituale contro la tentazione alla vanità e alla superbia e quindi la donna protegge se stessa da impulsi che nel quadro della Weltanshaung islamica sono considerati autolesivi per la psiche umana.
Il velo è il simbolo della madre del Messia, Maria emblema assoluto della dedizione religiosa, della spiritualità, della femminilità come ricettacolo della Misericordia Divina, non per nulla le rappresentazioni iconiche cristiane della Vergine sono caratterizzate dalla presenza del velo a sottolineare la sacralità della sua figura e funzione di madre spirituale dei credetni di donna colta e saggia in materia religiosa di colei la cui purezza e devozione hanno mosso la Misericordia divina al punto da farne la Reegina del Paradiso.
Il velo diventa così strumento per riavvicinare alla comprensione e all’armonia per intrprendere una delle strade che conducono alla conoscenza reciproca come recita il Corano Suratu’l-hujurât, v.13: “O uomini, vi abbiamo creato da un maschio e da una femmina e abbiamo fatto di voi popoli e tribù affinché vi conosceste a vicenda.
Presso Allah il più nobile di voi è colui che più Lo teme.”; conoscenza che deve portare al riconoscimento del Principio Unico Trascendente identico in tutte tradizioni religiose.
La donna come ricettacolo della creazione va protetta e salvaguardata ed ecco che si comprendono tutti i significati del velo.
Infine il velo è legato al significato della rivelazione poiché nella Suratu’sh-Shûrã v. 51: “Non è dato all’uomo che Allah gli parli se non per ispirazione o da dietro un velo (hijâb) o inviando un messaggero ( Gabriele) che gli riveli con il suo permesso, quel che Egli vuole . Egli è Altissimo e Saggio.
Ancora una volta il velo simbolo del sacro della rivelazione sacra di tutto ciò che viene rivelato simbolicamente perché il messaggio possa venire accolto da tutti ma compreso fino n fondo solo da coloro che sapranno andare al di là di quel velo e sapranno proteggerne la sacralità.
Per questo motivo ogni tentativo occidentale e non, viene percepito come una forma di rifuto e di oppressione nei confronti di tutte le donna musulmane, un tentativo di spersonalizzazione e di appiattimento ad un modello unico di rappresentazione iconica e ideologica della donna, come è avvenuto con le leggi laiciste francesi che sembrano un calco delle leggi cattoliche emanate da Ferdinando D’Aragona nella Spagna dell’Inquisizione e della Reconquista grazie all’opera di Tomas de Torquemada (doveva stanare moriscos e cristianos nuevos che avevano aderito al cattolicesimo, religione di Stato, solo formalmente mentre segretamente continuavano a praticare i propri culti); tra i primi provvedimenti vi fu quello di far togliere il velo delle musulmane.
Allora per Ferdinando D’Aragona il cattolicesimo, come oggi il laicismo spinto, fu uno strumento di controllo della popolazione perché è divenuta troppo complicata la gestione di una società autenticamente plurale e pluralista.
Tale esempio volutamente forte vorrebbe essere metafora della frustrazione in cui la donna musulmana versa a causa delle strumentalizzazioni mediatiche legate a ciò che non è simbolo religioso ma che è la base della propria identità umana ancor prima che religiosa.
Tuttavia nessuno può imporre ad una donna di indossare il velo se questa non ne comprende il valore e quindi lo rifiuta e non dovrebbe essere lecito imporre ad una donna che lo porta di toglierlo solamente perché esso è un tratto distintivo così com’è avvenuto in Francia, o fino a qualche tempo fa in Turchia o in Tunisia dove un “laicismo” spinto e quindi un “ismo” che nega le ragioni storiche della laicità, intesa come salvaguardia e tutela di tutte le identità religiose e culturali all’interno di una nazione, soffoca il diritto delle donne di esprimere se stesse con un abbigliamento pudico.
Un forma di discriminazione mal celata perché inculcare un “falso diritto” con la forza ha finito per conculcare, anche in paesi come l’Italia dove la Costituzione e le leggi tutelano la libera scelta di portare il velo, diritti fondamentali come il diritto al lavoro o peggio come in Francia il diritto ad una istruzione pubblica scavalcando la Dichiarazione Internazionale dei Diritti dell’Uomo.
Le norme poi espresse dallo Stato Italiano sono decisamente a favore della conservazione del velo anche nelle foto dei documenti, sia carte di identità che passaporti, come emerge dall’articolo 289 del testo unico della pubblica sicurezza emanato nel 1995 che, di fatto vieta unicamente quelle forme di velo che impediscono di identificare la persona, come il burqa, il niqab, il purdah che coprono interamente il volto delle donne e ne impediscono l’identificazione causando problemi per la sicurezza.
In realtà come spiegano le tradizioni shariatiche esso non è giustificato religiosamente.
Esaminiamo a tal proposito quanto dice il Corano al versetto 53 della Suratu’l-Ahzâb: “O credenti non entrete in casa del Profeta* se non quando siete invitati a pranzo e non arrivate troppo presto sì che dobbiate attendere. Però quando siete chiamati entrate pure. Quando avrete finito di pranzare ritiratevi e non soffermatevi troppo in conversazione. Tale comportamento addolora il Profeta troppo imbarazzato per chiedervi di andarvene. Ma Allah non prova imbarazzo nella verità. E quando interrogate le mogli del Profeta interrogatele da dietro una cortina ciò è più puro per i vostri cuori e per i loro cuori. Importunare il Messaggero di Allan non è corretto. Nessuno di voi potrà sposare le mogli del Profeta dopo la sua morte. Allah lo considera un peccato enorme.
In questo versetto il sostantivo hijâb indica una cortina, un vero e proprio separè una norma applicata solo ed esclusivamente alle mogli del Profeta come si evince con estrema chiarezza dal testo coranico e come spiegano gli ahâdîth profetici ad esso collegati.
Questi precetti vennero rivelati a seguito di un suggerimento dato da °Umar Ibn al-Khattâb.
°Ai’sha riferì che °Umar avesse suggerito al Profeta* di limitare l’apparizione in Pubblico delle Madri dei Credenti, per dare risalto al loro status particolare e quindi distinguerle dalle comuni credenti, facendo in modo che restassero appartate nei loro appartamenti e uscissero solo in caso di necessità.Inizialmente il Profeta* non prestò soverchia attenzione a quel suggerimento ma in seguito vennero rivelati questi versetti che miravano a sancire la particolare normativa e i particolari accorgimenti che dovevano riferirirsi alle Madri dei Credenti.
Si racconta quindi che °Umar disse:”Tanto i timorati quanto i perversi frequentano la tua dimora e vedono le tue mogli.
Che ne pensi di ordinare loro di coprirsi integralmente?”.
In un certo senso tali versetti vengono considerati rivelati a seguito di questa richiesta operata da °Umar preoccupato di preservare lo status particolare della famiglia dell’Inviato* di Allah.
Si impone quindi la necessità di fare in modo che la classe politica comprenda l’esigenza profondamente avvertita dalle donne musulmane di fare rispettare le norme giuridiche e costituzionali che proteggono le donne velate dagli abusi legali o amministrativi compiuti da coloro che non recepiscono la normativa dello stato affinché le donne musulmane possano entrare a pieno diritto nel progetto sociale di integrazione con la loro presenza nei luoghi di lavoro senza temere ritorsioni a casua del loro abbigliamento.
Le donne velate chiedono che la classe politica sostenga i loro diritti che, ripetiamo, ci sono già ma non sono stati recepiti dalle amministrazioni e che durante le trasmissioni dedicate alle questioni che tanto interesse sucitano legate al mondo femminile islamico, vengano convocate le donne soprattutto quelle sufficientemente esperte in materia di sharî°a per offrire delle risposte serie alle esternazioni sensazionalistiche e decisamente in malafede di certe figure emerse agli onori della cronaca negli ultimi anni.
Esistono degli enti anche privati che intendono lavorare per creare delle forme di coabitazione intelligente e matura, sono rapporti da coltivare e da incoraggiare anche attraverso delle campagne di informazione.
Noi non pretendiamo di imporre le nostre regole chiediamo solo il rispetto delle nostro pudore poiché portare un velo non significa essere incapaci di lavorare o di costruire una società migliore significa soltanto scegliere un abbigliamento diverso e tale scelta non può e deve essere motivo di discriminazione o peggio di emarginazione.
Purtroppo il frutto della campagna mass-mediatica è stato quello di fare in modo che parecchi pregiudizi, sebbene non attecchissero in alcuni stati a livello istituzionale, fossero tuttavia fomentati al punto da condizionare il mercato del lavoro escludendo di fatto una enorme fetta della società femminile musulmana dalla possibilità di entrarvi, quella stessa società che i media occidentali hanno costantemente dichiarato di voler emancipare.
Vorremmo che una volta per tutte venissero sciolte tutte le ambiguità che rendono incomprensibile e a volte insolubile la questione dell’integrazione delle donne musulmane.
Molte delle quali pur avendo lauree, master o altri titoli di studio superiori non trovano realizzazione prefessionale o nella migliore delle ipotesi devono compiere sforzi enormi, per far crollare i castelli di pregiudizi, dimostrare il loro valore nonchè le loro competenze professionali e la loro volontà di costruire hic et nunc una società plurale e pluralista.
Ci auguriamo che queste continue gocce del nostro lavoro riescano primo poi a scavare le rocce delle discriminazioni.