25 nov 2008

La "chiesa islamica" e il clero

martedì 25 novembre 2008
La “Chiesa islamica” e il clero
بسم الله الرحمان الرحيم

Nel Nome di Allah, il sommamente Misericordioso, il Clementissimo

Lode ad Allah Signore dei mondi! Pace e benedizioni su Muhammad, Messaggero di Allah, sulla sua famiglia e sui suoi compagni. Chi da Allah è guidato non sarà sviato da nessuno, e chi da Allah è sviato, non sarà guidato da nessuno.

Il sacerdozio esiste da tempi immemorabili. Il desiderio di conseguire il dominio sulle masse nel campo religioso e rituale e, per mezzo di ciò, ottenere il potere sociale che ne deriva, ha unito in caste e ceti isolati gli avidi ed ingordi operatori nella sfera della direzione del culto. Creando l’illusione della propria sacralità, essi hanno influenzato la fiduciosa società umana attraverso l’ipnosi e la magia, pretendendo di essere riconosciuti come scelti dalla divinità, e come possessori di conoscenze segrete. Di conseguenza le caste sacerdotali hanno acquisito beni materiali e politici in questo mondo.

In maniera alquanto modificata, sotto il velo del ‘grado di civiltà’ il ceto sacerdotale si è formato anche come aggiunta parassitaria a quelle religioni, le quali comunemente s’accetta di denominare monoteistiche. Qualitativamente questa categoria non ha subito cambiamenti di qualsivoglia tipo (le stesse pretese di conoscenze segrete, lo stesso isolamento e la stessa suddivisione in livelli, le stesse tendenze a speculare sulle manipolazioni nel culto, e ad influenzare i processi politici, e gli stessi metodi di distinguere il sacerdote dalla folla), a cominciare dal modo di vestirsi fino a concludere con la retorica ampollosa.

Lo studio scrupoloso della storia dei profeti (pace su di loro) consente di trarre la conclusione che il virus della ‘clericalità’ è comparso sempre soltanto alcune generazioni dopo l’una o l’altra missione profetica. Cosí il ceto dei sacerdoti giudei sorse tempo dopo la morte di Mosè (pace su di lui), i vescovi dopo Gesú (pace su di lui), eccetera. I profeti stessi, come è noto, invece esortavano al monoteismo (Tawhīd), il quale annulla automaticamente tutte le manifestazioni del sacerdozio, poiché predica l’uguaglianza di tutti gli uomini davanti al Creatore Altissimo.

Ha detto Allah riguardo ai traviati:

“Hanno preso i loro preti e monaci e Gesú figlio di Maria come proprî signori al posto di Allah, benché fosse stato loro ordinato di adorare Allah solo ...” (at-Tawba: IX, 31).

Quando ‘Adī ibn Hātim, che era cristiano prima di abbracciare l’Islam, domandò al Profeta (pace e benedizioni su di lui) il significato di questa āya, egli disse: “Considerate voi proibito quel che essi vi proibiscono, e vi consentite voi quel che essi vi consentono?”. ‘Adī ibn Hātim rispose: “Sí”. Il Profeta (pace e benedizioni su di lui) replicò: “Ciò significa che adorate loro al posto di Allah” (al Buhārī, Muslim).
Abū Sa‘īd riferisce che il Profeta ammoní i musulmani a non considerarsi garantiti dalla ripetizione degli errori dei precursori: “L’Ora del Giudizio non giungerà fino a che i miei seguaci passo dopo passo non avranno seguito le orme dei loro predecessori”. Gli domandarono : “O Inviato di Allah, le orme di giudei e cristiani?”. Egli rispose: “E di chi altri?”. (al Buhārī, Muslim).

Il virus del sacerdozio dunque diede notizia di sé, e alcuni secoli dopo il Profeta (pace e benedizioni su di lui) tra i musulmani comparvero uomini che cedettero alla tentazione di accentrare la religione nelle mani di un ceto ristretto, dichiarare il Corano conoscenza segreta e accessibile solo ad ‘iniziati’, servirsi dell’Islam per gli avidi interessi di singoli sovrani, e arricchirsi grazie alle esigenze spirituali del credulo ‘gregge’. Nell’Islam comparvero cosí personaggi fino a quel tempo sconosciuti, i mullà[1] (preti, sacerdoti), e nacque una gerarchia clericale o ecclesiastica, mentre il concetto di muftì[2], rispetto al significato iniziale, che indicava un livello d’erudizione, prese a figurare in qualità di denominazione di uno dei gradini della gerarchia sacerdotale.

Di recente il ‘chiericato islamico’, ripetendo l’esperienza dei suoi predecessori, si è trasformato in un gigantesco apparato impiegatizio.

L’analisi delle prime fonti consente di affermare indiscutibilmente che nella religione di Allah non c’è posto per l’istituto del sacerdozio. Esso fu introdotto ad imitazione di giudei, cristiani e pagani in un periodo posteriore della storia islamica. In relazione con ciò, il fenomeno della ‘chiesa musulmana’ deve essere valutato come un fatto non comprovato dal Corano e dalla Sunna del Messaggero di Allah (pace e benedizioni su di lui), fatto che è necessario qualificare come innovazione (bid‘a).
Il Profeta (pace e benedizioni su di lui) disse piú d’una volta: “Qualsiasi mutamento (muhdata) è un’innovazione (bid‘a), qualsiasi innovazione è un traviamento (dalāla), e qualsiasi traviamento è destinato al Fuoco” (an-Nisā’ī) [1].

L’essenza antiislamica del chiericato si è palesata spesso nel processo della storia: concreto esempio di ciò fornisce l’attività delle ‘direzioni religiose[3] dei musulmani’. Organizzate su idea dei miscredenti già nei secoli XVIII e XIX in analogia con le diocesi (eparchie) ortodosse, esse furono chiamate a distruggere l’Islam da dentro, fornendo la sorveglianza dello stato sui credenti, e introducendo nella religione di Allah idee principalmente estranee.

Come è detto nel Corano:

“Essi cercano di ingannare Allah e coloro che hanno creduto, ma ingannano solo sé stessi e non lo sanno. / Nei loro cuori c’è una malattia, e Allah ha aggravato la loro malattia. Per loro vi sarà un castigo doloroso, a causa delle loro menzogne” (al-Baqara: II, 9-10).

Nelle strategie antiislamiche la Russia ha sempre fatto leva sulla sua creatura, introdotta in seno ai musulmani: la ‘chiesa islamica’.
In questo modo, il piú precoce progetto di organizzazione della direzione religiosa nella vita dei musulmani del Caucaso risale al terzo decennio del XIX secolo, e la sua paternità appartiene ad uno stretto collaboratore di A.P. Jermòlov[4], il generale A.A. Vjel’jamìnov. Il senso del suo piano consisteva nell’introduzione di una rigida gerarchia di ecclesiastici, impostata su tre soggetti (muftì, efendì[5] o mullà anziano, mullà) e basata su di un’ordinata struttura verticale di designazione e subordinazione.
Inoltre, il muftì e i funzionarî ecclesiastici del suo apparato dovevano ricevere un grosso stipendio pubblico, e allo stesso tempo, se le loro attività non recavano soddisfacimento, lo stato aveva diritto di “citarli a giudizio del tribunale militare sulla base delle disposizioni generali dello stato” [2]. Organizzando un sistema di ‘sorveglianza statale’ sulla ‘musulmanità’ del Caucaso settentrionale, i circoli amministrativi dell’impero puntarono all’ottenimento immediato di concreti fini politici, che racchiudevano in sé: la vigilanza sulle azioni di persone, che potevano diffondere in ambiente musulmano uno “spirito ostile di disubbidienza”; l’impedimento a formare in seno ai musulmani un “eccessivo corporativismo” nocivo agli interessi statali; l’inammissibilità di un’influenza di “religiosi allogeni, in particolare quelli predisposti contro la Russia” sui musulmani caucasici; la creazione di un “chiericato islamico” nell’immediato interesse del governo, e la coincidenza dei suoi interessi materiali col servizio al governo stesso; la sorveglianza sulle istituzioni scolastiche musulmane [3].

Un progetto affatto curioso di sistemazione della vita religiosa dei musulmani nordcaucasici fu formulato nel 1889 da Dondùkov-Korsakòv, governatore del Caucaso in quel periodo, nella forma di ‘Disposizioni’ sull’ente di direzione per gli affari religiosi dei musulmani nelle regioni di Kuban e Tjerskij [4]. Secondo l’osservazione dell’autore, le suddette ‘Disposizioni’ esortano a prendere “il chiericato islamico”, quanto piú fermamente possibile, “nelle mani dell’amministrazione”; in esse si concedeva agli amministratori responsabili delle regioni di Kuban e Tjerskij il diritto di determinare l’entità delle entrate, per le moschee nelle singole zone e per i mullà [5].
In relazione a questo progetto, il “chiericato islamico” era suddiviso in superiore, nominato direttamente dall’amministrazione, e inferiore, che era subordinato alla sorveglianza incondizionata dei religiosi soprastanti, e sottoposto alla loro ratificazione.

Il chiericato ben pasciuto eseguiva con zelo tutte le istruzioni del padrone, esortando nei suoi sermoni a sottomettersi al prospero[6] reggitore [6], ed esigendo dai musulmani che sul Corano prestassero giuramento di fedeltà a servizio della monarchia [7] e innalzassero regolarmente preghiere allo “Zar di Russia”, il testo delle quali fu redatto personalmente dal generale Jermolov, allora governatore del territorio, nel 1820 [8].

È significativo il fatto che, pur col periodico cambiamento dei dominatori e della situazione politica, non vi sia modo di manifestare il fervore, la diligenza e l’assiduità dei religiosi nel servilismo e nella scrupolosità, il che è particolarmente notevole ai giorni nostri.
Oltre a ciò, tutto il corso della Guerra caucasica fu accompagnato da aspri attacchi dei sacerdoti contro i mujāhidūn, accusati di crudeltà nei confronti dei kuffār. I mullà convincevano il popolo che proprio sui combattenti musulmani ricadessero tutte le colpe delle sventure e della guerra.
Lettere contenenti espressioni d’ubbidienza ai governatori imperiali cosí come a Ljenin, la posizione francamente collaborazionista in varî luoghi, l’aiuto offerto ai bolscevichi contro l’armata di Nažmutdin Gonciskij: tutto questo è la copia esatta di ciò che avviene oggi.
Ergendosi sulle rovine delle moschee profanate dai miscredenti, in mezzo a villaggi devastati a ferro e fuoco, su ordine dei carnefici i sacerdoti per ogni avvenimento accusavano i mujāhidūn, i quali con la parola e con l’azione, nei limiti delle loro possibilità, col permesso di Allah, cercavano di liberare la terra patria dagli eterodossi. Facendo coro ai kuffār, i sacerdoti chiamavano i partigiani ‘malfattori’, ‘banditi’, ‘traviati’.

I commenti forse sono superflui. Secondo il dettato ricevuto, le “direzioni religiose dei musulmani” si sono sviluppate e hanno funzionato senza cambiare la loro essenza sino ai giorni nostri:

Gli odierni sacerdoti, come i loro predecessori, affibbiando al popolo le idee allogene di unilaterale e satanica tolleranza, esortano ad inchinarsi al nemico e diventare muti, ciechi e sordi alla Verità, dopo aver venduto la religione di Allah a un prezzo miserabile.

“In verità coloro chi desidera che si diffonda lo scandalo tra coloro che credono, avranno un doloroso castigo in questa vita e nell’altra ...” (an-Nūr: XXIV, 19).

Gli odierni sacerdoti costruiscono menzogne sulla religione di Allah, nascondendo e falsificando, tacendo e deformando l’Islam in corrispondenza con le proprie necessità.

“E coloro che dissimulano quel che abbiamo rivelato fra i segni e le vie indicate, dopo che nel Libro chiaramente li esponemmo agli uomini, sono quelli che Allah ha maledetto e che tutti maledicono” (al-Baqara: II, 159).

Gli odierni sacerdoti eseguono sacrifizî sanguinosi per il kufr, compilando ‘liste nere’ di musulmani sgraditi, e diventando per di piú diretti complici del terrore antiislamico. “Ogni aiuto ai miscredenti contro i musulmani risulta kufr (miscredenza) e porta l’individuo fuori dell’Islam” [9].
Gli odierni sacerdoti calunniano i mujāhidūn, e giustificano gli omicidî dei musulmani. Riferisce ‘abd Allāh ibn ‘Amr ibn al-‘Ās (che Allah sia soddisfatto di entrambi) che il Profeta (pace e benedizioni su di lui) disse: “Musulmano è colui che non causa danno ad altri musulmani con la sua lingua e con le sue mani” (al-Buhārī e Muslim).
Gli odierni sacerdoti sostengono il kufr, la costituzione del kufr, le leggi del kufr, pur di non perdere la benevolenza dei miscredenti e, di conseguenza, le posizioni imperanti

“Annuncia agli ipocriti un doloroso castigo. / Coloro che si scelgono alleati tra i miscredenti invece che tra i credenti, cercano la potenza da loro? In verità la potenza appartiene tutta ad Allah” (an-Nisā’: IV, 138-139).

“O voi che credete, non sceglietevi per alleati i giudei e i nazareni: sono alleati gli uni degli altri; chi li sceglie come alleati è uno di loro. In verità Allah non guida i popoli ingiusti” (al-Mā’ida: V, 51).

In altri termini, l’odierno ‘personale ecclesiastico musulmano’ predica la miscredenza! Nonostante l’evidente kufr, apertamente praticato dal ‘chiericato musulmano’, sperano costoro di mantenere la condizione di credenti? Sperano costoro che il pronunziare spensieratamente Lā ilāha illā ’Llāh, nonostante azioni apertamente contrastanti con tali parole, salverà le loro vite e i loro beni? In verità sono vane le loro speranze!

Se un musulmano agisce contro i musulmani e si schiera con i miscredenti, allora le relazioni con lui sono le medesime che si hanno con i miscredenti: il suo sangue cioè non è piú proibito. Nonostante che non sia consentito dichiarare kāfir qualcuno senza un processo, allorché una persona entri in un gruppo di miscredenti rende leciti la sua vita ed i suoi beni: ciò significa che condivide lo stato giuridico dell’organizzazione di cui entri a far parte.

Come disse a tal proposito l’emiro Sayf Allāh: “I musulmani che con la parola o con l’azione aiutano i miscredenti contro i musulmani, siano essi impiegati, militari, poliziotti, ecclesiastici, e altro, si oppongono ad Allah, dunque bisogna combattere contro di loro come si fa con i miscredenti. Tutti quelli che si schierano con i miscredenti devono essere combattuti e uccisi, compresi i musulmani. Allah li resusciterà secondo le loro intenzioni”.
Lo šayh al-Islām ibn Taymiyya disse: “Perfino quando qualcuno di coloro che intervengono a fianco dei miscredenti si mettesse ad affermare di essere stato costretto con la forza, questa sola attestazione non lo aiuterebbe” [10].

Occorre inoltre rammentare agli zelanti servi della miscredenza, i quali rientrano nella casta sacerdotale, i molto significativi precedenti storici, che riguardano i loro predecessori. Rammentare quel che è già accaduto, quando essi, non appena i focolai di resistenza furono stati repressi, e fu cessato il bisogno della loro ‘pacificazione’, i loro passati padroni semplicemente li sterminarono vista la fine dello stato di necessità. Proprio allora, quando le loro famiglie erano spietatamente sterminate, quando davanti a loro s’aprivano con ospitalità i battenti di vagoni affollati[7], quando la loro sorte divenne in questa vita quella schiavitú concupita[8], alla quale essi avevano invitato, e nella vita futura il fuoco infernale!

La storia ha dimostrato che i miscredenti, non appena prevalgono sui musulmani, cominciano subito a servirsi dei sacerdoti, ma non perché il clero rappresenti per loro una qualche minaccia. No. La ragione è che codesto miserabile, corrotto, ipocrito ceto suscita ribrezzo perfino nei suoi padroni, i quali presto o tardi lo mandano al macello, come bestiame malato e inutile. Come è stato promesso da Allah l’Altissimo:

“Cosí noi abbiamo assoggettato alcuni blasfemi ad altri, in cambio di quel che essi hanno deciso” (al-An‘ām: VI, 129).

Gli odierni religiosi preghino dunque Allah affinché il Jihād continui, perché altrimenti i miscredenti li tratteranno nel modo che già s’è visto in passato; e si pentano, sperando nella misericordia dell’Altissimo, che ha detto:

“Come può Allah guidare sulla Diritta Via uomini che sono divenuti miscredenti dopo aver creduto e testimoniato la veridicità del Messaggero, e dopo che sono apparsi loro segni evidenti? Allah non guida per la Diritta Via gli uomini ingiusti. / La loro ricompensa è la maledizione di Allah, degli angeli e degli uomini. / Rimarranno in essa eternamente. I loro tormenti non saranno alleviati, ed essi non riceveranno nessuna dilazione, tranne coloro che poi si saranno pentiti e avranno corretto il loro operato. In verità Allah è Colui che perdona, il Misericordioso” (Ālu ‘Imrān: III, 86-89).

Note dell’autrice:

[1] Detti del medesimo significato furono trasmessi da Jābir (che Allah sia soddisfatto di lui), questo raccolto da Ahmad; da al-‘Irbad ibn Sāriya, questo raccolto da Abū Dā’ūd; da ibn Mas‘ūd (che Allah sia soddisfatto di lui), questo raccolto da ibn Māja.
[2] Il generale A.A. Vjel’ja minov e la direzione della vita religiosa dei montanari caucasici, pubblicato da D.Ju. Arapov, fonte 2003, n.5, pag. 18.
[3] S.G. Rybakov, Ordinamento e bisogni della direzione degli affari religiosi per i musulmani di Russia (anno 1917), da L’Islam nell’Impero Russo, pag. 273.
[4] Archivio statale storico-militare russo, 400, 1, 4870, 1-10.
[5] Archivio della politica estera dell’Impero Russo, 147, 485, 1267, 5.
[6] D.Ju. Arapov, La politica imperiale nel campo dell’organizzazione statale dell’Islam nel Caucaso settentrionale fra il XIX secolo e l’inizio del XX.
[7] D.Ju. Arapov, Il giuramento dei musulmani negli atti legislativi e nella letteratura giuridica del XIX secolo, in Diritto antico, M, 2002, n.2 (10).
[8] D.Ju. Arapov, A.P. Jermolov e il mondo musulmano del Caucaso, in Atti dell’Università di Mosca, serie 8, Storia, M, 2001, n.6, pagg. 56-57.
[9] ‘abd al-Qādir ‘abd al-‘Azīz, Al-‘umda fī i‘dād al-‘udda, pag. 476 e pag. 480.
[10] ibn Taymiyya, Majmū‘ al-fatāwā, n.28, pagg. 535-537.

Sorella Hawwā’
Hava Beštoyeva per Kavkazcenter

JazakAllahu khayran ‘Abd Allāh Nūr as-Sardānī per la traduzione!

Note del traduttore:

[1] Dal persiano mullā (Le note a piè di pagina sono del traduttore, quelle dell’autrice sono collocate in chiusura di articolo).
[2] Dall’arabo muftī o muftin ‘giureconsulto’.
[3] Traduciamo in questo modo il russo duhovnyj, che vale non solo ‘ecclesiastico, religioso’, ma anche ‘spirituale’, giacché deriva dal sostantivo duh ‘spirito’: si noti il processo semantico, che dal campo spirituale arriva al campo temporale. Allo stesso modo duhovjenstvo dal significato di ‘spiritualità’ assume quello di ‘chiericato, sacerdozio’.
[4] Il sanguinario comandante in capo dei russi nella Guerra caucasica.
[5] Dal turco efendi ‘signore, principe’. Si osservi che se il muftì, cui sono subordinati gli altri ordini sacerdotali, è stato paragonato al vescovo cristiano, la sua figura superiore di riferimento non è il papa cattolico o il patriarca ortodosso, ma, in realtà, l’imperatore russo in persona.
[6] Il verbo zdravstvovat’ significa anche salutare, ed è qui implicito il fatto che nei sermoni in moschea si augurasse prosperità al sovrano, esattamente come oggi il ‘clero’ ufficiale prezzolato in molti paesi arabi recita instancabilmente Bāraka ’Llāhu ’l-malik.
[7] Allusione alle deportazioni, particolarmente cruente in epoca staliniana.
[8] Nei campi di concentramento uralici e siberiani

1 commento:

Anonimo ha detto...

bismillahirahmanirahim
Cara sorella,
Assalamaleikum wa rahma tu’llah wa barakatu.
La pace sia su di te, la tua famiglia e tutti coloro che ti sostengono nella tua attivitá di divulgazione della Veritá dell’Islam che sola è in grado di salvare il mondo dalla catastrofe dell’ego e dei nafs sempre pronti a rispondere all’appello di Shaitan il lapidato. La piú grande catastrofe dei nostri tempi è quella dell’Islam che con l’ultimo Califfo ha perso una guida visibile ed è lasciato in balia di chiunque in questi tempi bui alza la voce ad auto-proclamarsi depositario della vera Via. Cosí siamo alla presenza di un Islam dalle mille voci, dalle mille direzioni, confuso e diviso in balia delle onde e dei venti che lo portano a lidi che, nella piú nobile tradizione, non sono mai stati suoi. Allah ta ala ci ha detto nel Nobile Corano:
“Combattete per la causa di Allah contro coloro che vi combattono, ma senza
eccessi, ché Allah non ama coloro che eccedono” (Cor. II, 190)
e dopo averci incoraggiato allo sforzo contro coloro che vorrebbero impedire il culto ci raccomanda la misericordia.
“Se però cessano, allora Allah è perdonatore, misericordioso.
Combatteteli finché non ci sia più persecuzione e il culto sia [reso solo] ad
Allah. Se desistono, non ci sia ostilità, a parte contro coloro che prevaricano”. (Cor. II, 192-193).
La misericordia e la pazienza (sabr) sono quindi le caratteristiche che devono segnare i rapporti del musulmano coi suoi vicini di casa.
Ottimo esempio di tanta misericordia e pazienza ci viene proprio dal nostro amato Profeta Mohammed, la pace sia su di Lui, che per molti anni predicò la lieta novella in privato per non irritare gli abitanti della Mecca e, quando l’intolleranza di questi si fece piú forte, li invitó a stipulare dei trattati. Nel momento in cui aumentò per i musulmani il pericolo della persecuzione, Rasulullah ne spedì un gran numero in Abissinia dove furono accolti dal Negus cristiano che rimase colpito dal loro carattere pio e pacifico. Aumentato il pericolo, Mohammed, su di Lui la pace, scelse la via dell’esilio e dal giorno dell’esilio (Egira) facciamo partire il nostro calendario. Solo quando i meccani organizzarono una spedizione per attaccare l’oasi di Yatri dove si era rifugiato, il Profeta, su di Lui la pace, sostenuto dalla maggioranza della popolazione, decise per la difesa militare dei suoi cari e dei suoi protetti. Molti anni dopo, quando finalmente poté ritornare alla Mecca, anziché la vendetta e lo sterminio, il Profetá illuminò i cuori dei credenti e dei non credenti con il gesto della misericordia e del perdono.
Ecco, questo è il nostro esempio e la nostra guida che deve illuminare i nostri cuori e la nostra ragione nei momenti anche piú bui della nostra esistenza.
Finita una guerra che abbiamo combattuto per difendere la vita dei nostri cari dal mostro che voleva estinguere la nostra comunità e la nostra fede, dobbiamo avere la serenitá e la perseveranza (sabr) di tornare ad aprire le nostre porte al nostro vicino di casa e a dividere con lui i giorni della nostra esistenza gravosa.
Spiacente, ma chi ci invita a pregare perché la jihad continui dopo che le armi sono state deposte, ha il cuore e lo spirito malato di una malattia che si chiama odio che è un sentimento completamente estraneo all’Islam. L’odio è quello che alimenta il terrorismo feroce che colpisce a casaccio nella folla dentro ai ristoranti, alle fermate degli autobus e nelle metropolitane e che è, da qualunque parte lo vogliamo analizzare, assolutamente nemico dell’Islam, poiché l’Islam è, prima di ogni altra cosa, pace. Dopo le parole infelici pronunciate da S.S. Benedetto XVI a Regensburg, alcuni musulmani hanno bruciato manichini e bandiere in manifestazioni di piazza, altri anno scritto una lettera composta a S.S. per spiegargli le ragioni dell’Islam e le contraddizioni della lezione di Regensburg. Quali di questi due momenti ha contribuito in maniera decisiva alla comprensione e alla pace fra la comunità cristiana e musulmana? Gli autori della lettera sarebbero dunque servi del qufr e della miscredenza per aver dialogato col Papa? Se ci sono Mullah, Mufti, Imam, Hodscha, Scheick’s che dialogano coi governi e coi rappresentanti delle altre religioni, ció è un bene per l’Islam e per la stabilità dei Paesi dove viviamo. Se c’è una Jihad che deve continuare, questa è la grande Jihad, Jihad ul aqbar, lo sforzo del credente per sconfiggere il proprio ego e i propri nafs. La piccola Jiahd, lo sforzo per consentire il culto, è uno sforzo che solo come ultima ratio prevede l’uso delle armi e anche questo in maniera limitata nel tempo e senza nessun eccesso. Ogni nostra preghiera comincia con bismillahirahmanirahim, nel nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso. E se Lui è Compassionevole e Misericordioso, come dovremo essere noi? Dovremo forse spendere fiumi di parole per insultarci a vicenda accusandoci l’un l’altro di qufr? Dovremo spianare il kalaschnikov davanti agli occhi terrorizzati di inermi cittadini che si fanno i fatti loro? Accendere cinture al tritolo strette attorno alla vita dei nostri figli?
Islam è pace e Allah ta ala è il Compassionevole, il Misericordioso, Re del Giorno del Giudizio.
“Te noi adoriamo e a Te chiediamo aiuto.
Guidaci sulla retta via,
la via di coloro che hai colmato di grazia, non di coloro che [sono incorsi]
nella [Tua] ira, né degli sviati”.
Allah taufiq.
Hairuddin.